Ma questo PD?
Tutta questione di… chiarezza e coraggio.
Di ritorno dal Brasile e dalla Nuova Zelanda, mi sono immerso nelle “cose di casa nostra”. Non posso nascondere il senso di sconforto che coglie nel rendersi conto che uno dei perni della nostra realtà repubblicana, ovvero l’alterità politica, non esiste più dal momento che in Italia è sparita l’opposizione. Certo, vi sarebbero altri perni sconfortanti, a ben guardarsi intorno… Ma preferisco tacere, e continuare ad osservare, dedicandomi a ciò che ritengo avere oggi una certa priorità, soprattutto dal mio punto di vista.
Eh sì! Certamente la sinistra non godeva di ottima salute, neppure prima dell’avvento di Renzi, ma c’è stato bisogno della batosta referendaria del 4 dicembre 2016, per prendere materialmente atto che il programma riformista renziano non lo voleva proprio nessuno. Tutti ci rammentiamo le parole del vero erede politico di Berlusconi, quando promise il proprio ritiro in caso di sconfitta referendaria. D’altro canto aveva così fortemente radicalizzato il suo personalismo alla guida dell’Italia, da trasformare il referendum in un vero e proprio plebiscito sulla sua leadership governativa.
Alzi la mano chi, di noi, può dire di aver veramente votato per vedere accolta o cassata la proposta di riforma costituzionale e non per decidere se tenerci Renzi o mandarlo a casa. Se vogliamo essere un poco onesti, tutti o quasi tutti, la risposta è scontata. Peraltro, tutti ci ricordiamo, e penso altrettanto bene, che non soltanto l’enfant prodige ha disatteso la promessa, ma neppure ha proceduto, sul piano personale, (e men che meno collettivamente nell’ambito del partito)ad un esame delle ragioni della sconfitta. No, ha continuato imperterrito nella sua azione di guida accentratrice del PD e, totalmente sordo a qualunque voce espressiva di dissenso o di suggerimento, ha portato il partito alla totale disfatta del 4 marzo 2018.
Anche stavolta nessuno, nel PD, si è posto l’unica, semplice domanda che avrebbe dovuto porsi: “Perché gli italiani ci hanno assestato questo calcio nel deretano”?
Non se l’è chiesto Renzi perché, notoriamente, la (sua) superiorità rispetto al mondo che attribuisce a se stesso è così alta da indurlo a chiudersi nella turris eburnea di un delirante “gli italiani non mi hanno capito”. Dal suo punto di vista non è il PD che ha perso, sono gli italiani che non hanno capito la grandezza progettuale del comandante. E pensare che, se non per convinzione almeno per bon ton, non si imputa all’interlocutore l’incapacità di capire, ma ci si limita a dire “forse non sono riuscito a farmi capire”. Va beh! Sottigliezze di altri tempi, e che nel 4.0 non hanno più un senso, né intellettuale né pratico. E non se lo sono chiesti i renziani, in omaggio al culto del commander in chief. Non se lo sono domandati i non renziani, perché troppo attoniti e impressionati per esprimere un concetto di senso revisionistico politicamente compiuto. Si sa, un mattone in faccia destabilizza chiunque.
Ebbene, il PD perde con disonore le elezioni, Renzi si dimette dalla Segreteria promettendo di allontanarsi dalla guida del partito e al suo posto ascende Martina. Eppure, allo sconfitto PD, il M5S offre la possibilità di formare una coalizione di governo. Incredibile, nemmeno Babbo Natale avrebbe potuto donare, ad uno sconfitto, il trattamento del vincitore. A questa proposta, qualche dirigente del PD comincia a sentire le farfalle nello stomaco, ma Renzi le fa morire subito, opponendo un fermo veto all’alleanza coi penta stellati. Mi sono fatto così una domanda abbastanza naturale: “Ma se non è più il Segretario del partito, perché Renzi detta la linea? E Martina cosa ne pensa”?
Povero Martina, che tenerezza: il sibilo di Renzi dalle quinte è diventato un boato nel megafono del PD, e così niente alleanza col M5S. Salvo, poi, lamentarsi delle scelte politiche di Salvini, senza neppure il pudore di tacere davanti all’evidenza del fatto che se la dirigenza PD avesse silenziato Renzi, oggi in Italia ci sarebbe tutt’altra linea di governo.
Ma, arriviamo alla progettazione delle primarie del 3 marzo 2019. Il numero degli aspiranti Segretari è esorbitante. Tra essi, Minniti è di area renziana, ma qualcosa di imponderabile e, a tutt’oggi non conosciuto, lo fa ritirare dalla competizione. I cento parlamentari del PD sono nel panico, non sanno cosa fare: sostenere Martina? Zingaretti, o Boccia? Oppure ancora, chi altri? Neppure i senatori e deputati renziani sanno che pesci prendere. Corrono voci che il loro guru voglia fare una scissione, ma lui interviene giurando e spergiurando che ciò non avverrà.
A questo punto verrebbe, ovviamente, da chiedersi quale sia il valore delle promesse di Renzi e se, invece, tra qualche giorno non lo vedremo in prima linea con Macron al grido “antipopulisti d’Europa unitevi”! Oppure non lo scorgeremo ad Arcore, mentre propone al Cavaliere il piano “B” dal titolo: “Moderati di centro, destra, sinistra, alternativi, alternati & affini (insomma chi vi pare…) unitevi a noi”.
Ci dobbiamo aspettare di tutto. Ma, fuor di ironia, quello che possiamo amaramente già affermare oggi è che in Italia non esiste più una sinistra: già declinante, l’egida renziana ha provveduto a raderla al suolo. Una responsabilità politica gravissima sul piano parlamentare, dato che lo sbando del PD comporta la scomparsa di una opposizione. Il gioco repubblicano si fonda su un governo e sulla sua opposizione. Solo così si realizza l’istanza democratica dell’equilibrio tra la maggioranza e la minoranza, entrambe uscite dalle urne. Il contemperamento degli interessi, delle scelte si realizza solo nel dinamismo politico, economico, istituzionale tra governo ed opposizione.
Oggi abbiamo un governo, sì, ma non abbiamo più il suo contraltare parlamentare. In altre parole, i sei milioni di elettori del PD (una minoranza politica, certo) non hanno rappresentatività, e ciò che inquieta è che questa mancanza di rappresentatività non è conseguente ad un voto elettorale plebiscitario a favore del centro destra e del M5S, ma all’avvitamento del PD sulle diatribe bottegaie, tra chi deve comandare e chi deve sottostare pur all’interno del partito.
Se si è impegnati nelle guerre di quartiere, non ci si occupa di quello che avviene in Parlamento. L’ho sempre sostenuto: sono un convinto anticomunista, specialmente dopo aver conosciuto i comunisti bene, da vicino e per molto tempo nel corso della mia giovinezza. Ma rimango un intellettuale con il proprio cervello connesso alla realtà umana. Sono un antropologo della mente e, in quanto tale, guardo all’Uomo ed alla sua evoluzione. Per fortuna non ci troviamo in un regime totalitario, ma una forza di opposizione che cede le armi ha diretta responsabilità verso la formazione di un pensiero unico, il vero nemico dell’evoluzione della nostra specie.