New_York_Gay_Pride_2011_(2)È tutta questione di… distorsione della realtà.

Questa è la notizia. E questi sono gli Stati Uniti? E’ questa la vita notturna à la page della Grande Mela? Non lo so, ma a giudicare dalle reazioni decisamente negative di molte testate giornalistiche newyorkesi, e il sentimento di ribrezzo e schifo che questa faccenda infantile ha suscitato, penso proprio di no.

Allora mi chiedo: Come è possibile giungere a questi livelli di comunicazione umana, in cui un bambino di 11 anni è utilizzato da un gruppo di individui che non possiamo certamente catalogare come appartenenti alla specie Homo Sapiens sapiens. Mi chiedo se alcune persone così siano davvero capaci di esercitare quel sano esercizio corticale che conduce (e questo accade persino ai frequentatori dell’Isola dei Famosi, in questa povera Italia…) alla coscienza, alla consapevolezza di sé stessi. Lanciare dollari, esultando, per la performance drag di un undicenne è quanto meno sintomatico di un malessere generale, esistenziale che richiederebbe, forse, l’intervento di una serie quasi infinita di psichiatri di strada.

Ma non finisce qui, perché Desmond, il bambino drag, inizia la sua carriera e sei anni, rimanendo da allora sempre all’interno del circuito altamente formativo, educativo e libero del mondo drag. E tutto con un marketing condotto a monte dai suoi genitori. E l’articolista ci propone un interessante esperimento che lui stesso definisce mentale: pensare al tipo di reazione che avrebbe suscitato una bambina reale che ad undici anni fa questo tipo di show rispetto ad un bambino. Ci sarebbe stata qualche differenza? Certo che sì, come appunto scrive Matt Walsh.

Natale significa nascita. Ed ogni nascita è sacra, ossia inviolabile, dal mio punto di vista. E come sapete sono contrario persino alla RU486.

Non si nasce drag, perché questo tipo di travestitismo si sviluppa e prende forma solo se alimentato da modelli genitoriali che lo stimolano. E questi genitori fanno soldi ed affari con Desmond. Ma la cosa peggiore, è rappresentata da questi gay ubriaconi newyrokesi, che vogliono essere trattati come persone per comportarsi come nessuna altra specie vivente farebbe. È assolutamente inutile lottare per essere accettati nelle proprie perversioni, sostenendo che tutto questo sia tipico della sessualità che loro definisco fluida. Qui occorrerebbe che un pool di giuristi americani verificasse se ci siano profili di illiceità. Ma non ne sentiamo parlare. E forse la cosa è preoccupante. Punto e basta. Sarebbe l’ora che le comunità gay serie si allontanassero con denunce pubbliche da questi atteggiamenti di massa, perché, secondo me, essere gay significa essere persone.

Persone, punto e basta.

Lo siamo tutti.

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