CyberbullismoÈ tutta questione di… chiarezza e coraggio.

Dove si trova il punto in cui la disperazione e la rabbia sfumano diventando accettazione di un dolore? E attraverso quali vie questo dolore trova il coraggio di trasformarsi in perdono? E, soprattutto, quanto profondo dev’essere l’abbandono alla Fede perché questo processo avvenga?

Tre domande che mi sono posto (e che propongo anche a voi…), quando ho appreso la reazione del papà di Carolina Picchio la cui storia tutti rammentiamo: poco più che bambina, all’età di appena 14 anni, Carolina si è suicidata nella notte del 5 gennaio 2013, sopraffatta dal cyber bullismo, cui alcuni suoi “amici” coetanei l’avevano sottoposta sui social, sino ad esasperarla irrimediabilmente.

Gli autori del bullismo telematico sono stati puniti penalmente. E’ stato giustissimo. Internet è alla portata di tutti, ma sapersi gestire sul web è una “cosa da grandi”, e, come tutte le “cose da grandi”, può essere innocua, meno innocua o grave, fino al punto da pregiudicare la vita altrui. La dannosità di una condotta da adulti rimane inalterata, anche se a porla in essere sono minorenni. Certamente, in quest’ultimo caso, la punizione da comminarsi e le modalità di esecuzione della pena devono essere calibrate sullo stato oggettivo, mentale e psicologico tipici della minore età. Ma tutto ha un prezzo, anche ciò che sembra tanto divertente. Ed è bene che i nostri giovani lo imparino presto. Sulla propria pelle o sull’esempio altrui, poco conta. Va imparato presto e bene.

Il Tribunale per i minorenni di Torino ha dichiarato estinto il reato a carico dei ragazzi che, con le loro condotte vessatorie, hanno indotto Carolina a lanciarsi nel vuoto. A quanto risulta dalle relazioni degli esperti, il percorso di recupero intrapreso da questi minorenni ha avuto un esito positivo. Ciò che mi ha colpito non è tanto l’apprendere l’efficacia dell’iter recuperatorio. È una buona notizia in questo momento, ma sarà il tempo a dire se c’è stato o meno un effettivo recupero del senso di responsabilità delle proprie azioni. Sarà sempre il tempo a dirci se la consapevolezza e la razionalizzazione dell’accaduto (e della sue conseguenze) abbia fornito ai ragazzi una vera capacità esistenziale, specialmente circa il valore e il disvalore delle proprie azioni.

Quel che è davvero rilevante e, direi, “spiazzante” sono la reazione del papà di Carolina e le sue parole: “Carolina l’ho persa in ogni modo.”– aggiunge il papà che anche oggi è stato in una scuola per sensibilizzare i ragazzi sui rischi che può comportare un uso non corretto del web – “Per quello che è successo provo un grande dolore, così come per il fatto che ci siano 5 giovani che l’hanno portata a compiere quel gesto, che mai nessuno dovrebbe compiere. Però un processo c’è stato, sono stati giudicati e il fatto che abbiano seguito percorsi di recupero e che ne sia stata verificata la capacità di aver compreso la gravità del loro comportamento è importante. Il carcere può dare la sensazione di risolvere perché dà una risposta emotiva, ma non ricostruisce e non riqualifica queste persone; non a caso noi ci siamo battuti perché non ci fosse una legge punitiva”.

La perdita di un figlio è quanto di più innaturale si possa immaginare, non solo perché è troncata la radice madre della vita, ma anche perché, all’ordine delle cose, appartiene che sia il primo arrivato ad accomiatarsi da chi lo ha seguito, e non il contrario. Il tragitto percorso da questo padre ha visto la sua partenza dal giorno del suicidio della figlia quattordicenne e, nel corso degli anni, è giunto alle parole che abbiamo letto sui giornali, transitando dal suo impegno personale per arrivare alla promulgazione , in Italia, della legge 71/2017, nota come “legge sul cyberbullismo”.

Quanto amore e quanta fiducia bisogna avere per ottimizzare il dolore per la morte di un figlio a causa di altri, e viverlo come un’opportunità, per la specie umana, di progredire proprio nella fase costruttiva della persona e cioè nell’adolescenza? Quanto forza gli è servita per anteporre l’esigenza di una riqualificazione personale di coloro che hanno portato alla morte di Carolina, all’umanissimo desiderio di abbandonarli al loro destino, da un carcere minorile ad un altro, una volta raggiunta la maggiore età? Per la mente umana è qualcosa di molto complesso e difficile da comprendere, da razionalizzare. E, in questo caso, il dolore non viene solo razionalizzato, ma si trasforma in qualcosa di buono per la società.

Sì , perché il processo di razionalizzazione e le azioni consequenziali passano, necessariamente, se non da una accettazione completa, ma, almeno, da un compromesso tra sé stessi ed il proprio dolore. Un compromesso emotivo, estremamente difficile da raggiungere. Eppure, Paolo Picchio ci dimostra con la sua vita che è possibile. Davanti ad un uomo come questo, si può solo tacere e, nel silenzio, fare appello alle nostre individuali istanze soprannaturali (Dio, Allah, Shiva, chiunque sia), affinché ci donino la capacità di comprendere, accettare, dare un senso e perdonare.

Questo spero accada a me, a tutti… e non solo nel 2019.

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