Accordo provvisorio?
Tutta questione di… equilibrio.
Sebbene possa sembrare sopita, la questione del rapporto tra Religione e Stato è attuale e assolutamente vitale, non solo nell’ambito islamico, ma anche in quello cattolico.
Certo, tra l’islam ed il cattolicesimo corre una profonda diversità, specialmente rispetto ad esigenze religiose da tutelare in ambito secolare. Per esempio, il primo centralizza la figura di un sistema teocratico secondo cui lo statuale interno e la religione si identificano senza alcuna prospettiva strategica estera, all’infuori della visione stragista internazionale propria di alcuni indirizzi interni all’islam. Per il cattolicesimo, l’intima identificazione tra Stato e Chiesa è un lontano ricordo. I tentativi di condizionamento politico da parte del cattolicesimo rimangono tali. E solo talvolta trasformano la loro potenzialità in atto, mentre su un versante più universale, la Chiesa Cattolica sta concentrando la gran parte dei propri sforzi sui rapporti diplomatici internazionali.
In questa ottica, va letta la costruzione di un iniziale ponte tra Roma e Pechino, un ponte che molti contestano, nella paura che la trama diplomatica possa creare una tessitura così importante da escludere l’occidente statunitense.
Come in alcune occasioni ho già detto, sono un cattolico apostolico romano. Ciò non fa venir meno la doverosa onestà intellettuale, né il senso critico con cui guardo e valuto l’operato della Chiesa mia e dei miei fratelli in Cristo. Tutti conoscevamo già, la posizione del governo cinese nei confronti dei cattolici, simile a quella di altri luoghi nel mondo. Poiché la Provvidenza opera in molti e misteriosi modi, secondo dinamiche e su piani che l’Uomo, giustamente, non può controllare né direzionare, le preghiere della nostra comunità sono state ascoltate nel corso del 2018. Infatti, nel mese di settembre, la Santa Sede e la Cina hanno sottoscritto un “Accordo provvisorio” (nel senso che i suoi effetti verranno sottoposti a verifica intertemporale), in virtù del quale i vescovi nominati tali da Roma debbono essere riconosciuti dalle autorità cinesi e lo Stato cinese riconosce il Successore di Pietro quale unica guida spirituale e gerarchica della Chiesa. A dimostrazione del fatto che il dialogo illuminato dalla Provvidenza può tutto ciò che la mano umana neppure può pensare di stringere, Papa Francesco e Xi Jinping hanno trovato un’importante convergenza. Sia sulla unicità della Chiesa, in territorio cinese, che sulla bilateralità del gradimento delle nomine dei vescovi, gerarchicamente sott’ordinati soltanto al Papa. Senza lanciarsi in inutili e precoci trionfalismi, non possono sottacersi né l’impegno delle diplomazie né la lungimiranza del Primo Ministro, che ha saputo ascoltare le istanze spirituali di una parte importante del proprio popolo.
Dunque, alla domanda se la laicità dello Stato debba essere un valore assoluto ed escludente la voce della religione, dobbiamo rispondere “no”. Sin tantoché, l’Uomo percepirà in sé l’afflato spirituale che lo spinge verso la dimensione del Divino e fin quando quello stesso Uomo agirà socialmente, è antropologicamente, moralmente e giuridicamente rispondente ad una giustizia sostanziale. In effetti, tanto la politica quanto la religione si confrontano sullo stesso terreno, allo scopo di dare risposte condivise all’azione umana.
Sostenere il contrario, significa porsi fuori da qualunque idea di ragionevole funzionalità sociale.