VideosorveglianzaTutta questione di… egoismo.

Recentemente la Camera ha approvato la proposta di legge n.480, per l’inserimento, negli asili nido, nelle strutture socio-assistenziali per anziani disabili e minori in situazioni di disagio, di sistemi di videosorveglianza costituiti da telecamere a circuito chiuso. A tutta prima, sembrerebbe un’ottima notizia, di quelle che ci fanno sentire un Paese all’avanguardia. In realtà, mentre attendiamo che questa proposta legislativa venga discussa in Senato, possiamo dire che si tratta di una vittoria di Pirro, come viene ben dichiarato dalla Senatrice di Forza Italia, Licia Ronzulli.

In primo luogo, e nella migliore tradizione italiana, stiamo chiudendo i cancelli quando i buoi sono già scappati. In effetti, non sembrano essere stati sufficienti ed, evidentemente, importanti, i già numerosi episodi raccontati dalle cronache sui maltrattamenti perpetrati a carico dei più indifesi della società ovvero i fanciulli, i vecchi ed i portatori di handicap. Questa proposta di legge ha dovuto attendere l’insediamento del nuovo Parlamento, per essere nuovamente discussa ed approvata alla Camera. Eh sì, perché il medesimo testo era già stato approvato dalla Camera dei Deputati, durante la scorsa legislatura per poi arenarsi. V’è da sperare che, stavolta, ciò non si verifichi e che la proposta diventi legge formale dello Stato.

Inoltre, la formulazione del testo normativo lascia piuttosto perplessi.

L’art.1 recita: “Gli asili nido (omissis) possono dotarsi di un sistema di videosorveglianza”, mentre l’art. 2 dispone: “Le strutture socio-assistenziali (omissis) possono dotarsi di un sistema di videosorveglianza. ”In altre parole, quand’anche promulgata, la legge non introduce un obbligo di inserimento dei dispositivi di videosorveglianza, bensì una semplice facoltà. Inoltre, non pare proprio che il testo specifichi che tale facoltà è esercitabile sulla base di un accordo tra genitori e docenti, oppure tra pazienti e struttura.

Ebbene, viene da domandarsi a cosa dovrebbe servire una legge del genere. La sua finalità dovrebbe consistere nell’apprestare strumenti di deterrenza idonei a prevenire condotte prevaricatrici in ambiti sensibilissimi come gli asili nido e le strutture socio-assistenziali. In buona sostanza, la telecamera assolve ad una duplice funzione. Come strumento di prova, di fronte ad eventuali vessazioni e/o violenze perpetrate da chi presta servizio in questi ambienti sociali, nei confronti dei fruitori, ossia bambini in tenerissima età e persone inabili, malate e vecchie; come mezzo di coazione psicologica sugli operatori, affinché questi, sapendo di poter essere visivamente ripresi, desistano da qualunque lontana intenzione di far del male agli indifesi affidati alle loro cure.

E’ evidente che tale duplice scopo è perseguibile solo con una legge che obblighi le strutture a dotarsi di videocamere. Lasciare l’adozione della videosorveglianza alla discrezionalità di chi è preposto alla dirigenza degli asili e delle strutture equivale a vanificare completamente la ratio della legge, svuotandola di ogni senso ed utilità.

Ad ogni buon conto ed a quanto mi consta, questo aspetto viene sottovalutato dalla stampa e dai commentatori. Il problema che tiene banco è la privacy del personale lavoratore, all’interno degli asili e delle strutture. Certo, non è, in alcun modo, in dubbio la conservazione della riservatezza personale. E tale problematica, in questo contesto, è evocata a sproposito.

Ciò che, molto spesso, non si tiene nel dovuto conto è il fatto che la pari tutela delle esigenze umane non significa trattare in modo uguale situazioni differenti tra loro, ma significa esattamente il contrario. Ossia, trattare diversamente situazioni soggettive tra loro, conservando la tutela di tutti gli attori in gioco. Nel nostro caso, operatori e fruitori.

Se vogliamo bilanciare l’esigenza di tutela della riservatezza del lavoratore (mentre imbocca un lattante, gli cambia un pannolino, oppure lava o cambia un anziano allettato), con l’esigenza di controllo, affinché durante quelle operazioni il lattante o l’anziano non subiscano maltrattamenti, la seconda è sicuramente prevalente rispetto alla prima. Soprattutto con riferimento alle operazioni concrete, quelle che prevedono una cura fisica dei disabili e dei vecchi immobilizzati, dal momento che tali incombenze vengono svolte, per lo più, a porta chiusa. Ma se, per un verso, la porta chiusa, i momenti di isolamento rispetto ad altri utenti, etc., debbono servire per tutelare l’integrità del pudore degli utenti stessi, per altro verso non possono diventare l’occasione per la consumazione di violenze mute ed invisibili.

I diritti non sono tutti uguali. Alcuni sono più urgenti di altri. Ed anche a costo di sembrare irragionevole, ritengo che, fatta salva la riservatezza dei lavoratori mentre le proprie necessità fisiologiche, all’interno di un asilo, o di una struttura socio-assistenziale, deve prevalere la tutela di chi è debole, indifeso, malato, senza forza, spesso senza parola o senza autodeterminazione, eppure senziente.

Queste persone sentono il dolore, la privazione, l’offesa, la costrizione. E, dunque, dovremmo attenderci, da una legge seria, l’obbligo di installazione di videosorveglianza, in ogni ambiente in cui si trovi un infante, un disabile, un anziano ed un vecchio, a prescindere dal suo stato di autonomia motoria o meno.

La privacy non può diventare una foglia di fico.

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