È tutta questione di… futuro.

Nella nostra vita cerchiamo sempre di pianificare, ossia di mettere ordine alla successione degli eventi che caratterizzano il nostro essere nel mondo.

A volte capita, direi anche spesso, di non riuscire a fare in modo che le cose vadano proprio Come avevamo deciso. Siamo costretti a rivedere i piani, le nostre posizioni e le nostre convinzioni, perché il caso può entrare nei nostri progetti e sconvolgerli completamente.

A volte ancora, questo caso può anche essere doloroso, ossia farci soffrire e sotto molti punti di vista, non solo fisicamente.

Possiamo provare dolore in seguito all’insuccesso del piano messo a punto, con una sofferenza interna che deriva proprio dal vedere contrastata la nostra volontà. Siamo dunque costretti a fermarci per ragionare sul piano progettato inizialmente, per trovare possibili alternative al fine di raggiungere lo scopo.

Spesso è necessario fermarci per raccogliere le forze, ristrutturare il campo di azione e proseguire verso la meta. Ecco come la distruzione, il caos, il disordine, diventano motori indispensabili per la creazione di un ordine successivo, migliore e nuovo.

Il caso può anche comportare distruzione, ma con lo scopo finale di una ulteriore più produttiva creazione. Con esso si crea, si feconda per generare strutture diverse, organizzate in modo nuovo.

È un po’ come cercare di capire per quale motivo la vita sia il risultato iniziale di un incontro-scontro tra un solo (o poco più di uno nel caso dei gemelli) spermatozoo e uno solo degli ovuli femminili. Per giungere alla fecondazione, la Natura fornisce la donna di un patrimonio ovulare fin dalla nascita, con un numero di ovuli prestabilito (come è geneticamente determinato fin dalla nascita il momento del menarca e quello della menopausa) e che si esaurisce durante la menopausa. Ogni mese viene prodotto un certo numero di ovuli dall’ovario, ma solo uno (o più nel caso dei gemelli) raggiunge la maturazione per essere fecondato, mentre il maschio, invece, anche se produce continuamente spermatozoi, ne diminuirà la quantità sino all’andropausa.

Sia nel caso della femmina umana che del maschio, la Natura crea la vita per sottrazione, perché atrofizza gli ovuli non maturi e disperde gli spermatozoi che non raggiungono la meta. Sembra dunque che sia scritta, nella dinamica evolutiva della Natura, la necessità che dalla distruzione emerga la vita.

Certo, questa consapevolezza non procura piacere a noi esseri umani quando la distruzione di qualche cosa è legata alla perdita di ciò che amiamo.

Ecco perché il dolore non ha mai un senso nella vita dell’uomo: perché esso mette in scena una perdita, oppure un disordine, per il quale soffriamo e che ci procura un sentimento di mutilazione che può perdurare nel tempo con una certa forza.

Vi è però anche un altro tipo di caso, quello positivo, perché apporta la buona novità nella nostra vita. Eppure, anche in questa situazione, quella buona e positiva, devo in qualche modo adattarmi al nuovo, lasciando, magari, qualcosa di vecchio al quale mi ero affezionato; un abbandono che può essere vissuto dolorosamente.

Anche se metto sul piatto della bilancia la novità rispetto al già noto, al vecchio, ed approvo il nuovo perché migliora le mie condizioni di vita ed il mio sentire interno, posso provare una sorta di malinconia per ciò che non sarà più. È chiaro che anche nel cambiamento verso il miglioramento, vi sia qualche cosa di noi che rimane ancorata al vecchio, e per il quale proviamo affezione. Ecco spiegato perché l’accettazione del nuovo dipenderà dalla sua capacità di presentarsi nella mia vita come qualcosa di effettivamente migliore.

E per procedere a questa valutazione ho bisogno di tempo, ho necessità che la mia vita trascorra accanto alla novità, la quale, lentamente e con ordine, verrà inserita nella vita che scorre.

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