È tutta questione di… ritorno alle origini.

Nell’evoluzione della nostra specie, oltre 200.000 anni fa inizia l’era degli esseri umani “moderni”.

Si passa dalla collaborazione in piccola scala, sempre per la ricerca di cibo, alla competizione tra gruppi umani più ampi. Le lotte fra individui di gruppi diversi, proprio per proteggersi da invasori esterni, inducono le popolazioni di collaboratori (strutturate in modo approssimativo) a trasformarsi in gruppi sociali interconnessi più strettamente. Ogni gruppo sviluppa così una divisione interna del lavoro, da cui nasce e sviluppa un’identità collettiva di gruppo, necessaria al mantenimento del sentimento di appartenenza.

Con il trascorrere dei millenni, aumenta la dimensione della popolazione umana e dei gruppi tribali. Con tale espansione, i gruppi con un numero maggiore di membri cominciano, per esigenze di governo interno, a suddividersi in sotto-unità più ristrette, ognuna delle quali rimane legata al gruppo madre.

A questo punto, diventa essenziale riconoscere coloro che fanno parte del proprio gruppo culturale, senza essere necessariamente parenti stretti, per distinguerli dagli esponenti degli altri gruppi tribali. Si tratta di un riconoscimento essenziale, perché è importante poter contare solo sugli esponenti del proprio gruppo culturale, quando si tratta di condividere capacità e valori, utili a trovare compagni affidabili, e soprattutto per difendere il gruppo.

La dipendenza degli individui dal gruppo conduce così a un sentimento diffuso di identità collettiva e di lealtà. E, coloro che non mostrano tale sentimento identitario (legato al sentimento di lealtà) possono essere ostracizzati, oppure morire nelle lotte con i rivali.

In quali modi era (e rimane anche oggi) possibile indicare ai membri di un gruppo sociale di appartenere lealmente a tale gruppo?

In origine, molto probabilmente, si può ipotizzare che esistessero comportamenti facilmente decodificabili, come il “parlare come me”, “prepara il cibo come me” o, più in generale, ”condivide le mie stesse pratiche culturali”. Tutte indicazioni utili ad informare i membri del gruppo che quell’esponente appartiene davvero al proprio gruppo.

Ecco come nasce il sentimento di sicurezza personale all’interno di un gruppo sociale umano. Nasce cioè dalla tendenza umana a conformarsi nelle pratiche culturali di gruppo. Si insegna così ai propri figli a fare le cose nel modo tradizionale definito dal gruppo, e ciò diventa fondamentale per la sopravvivenza del gruppo stesso.

Insegnare e conformarsi diventano le basi per una evoluzione culturale partecipata e cumulativa, in cui una pratica o un artefatto che esistono da molto tempo possono migliorare, attraverso il loro passaggio in successive generazioni, come parte di convenzioni, di norme ed istituzioni del gruppo.

In questo modo, ogni singolo individuo, inserito in tali strutture sociali collaborative può solo conformarsi, e non a caso durante l’adolescenza umana il problema della adesione ai comportamenti del gruppo è quello fondamentale, e legato alla formazione del sentimento di identità personale.

Si forma la mentalità di gruppo, nell’ambito della quale le persone assumono la prospettiva mentale del gruppo nel suo insieme, con lo scopo di proteggerlo conformandosi ad esso.

Così, mentre alcune norme codificano il modo giusto e sbagliato di fare le cose (nella caccia o nella produzione di utensili), si vanno formando le norme morali legate al modo giusto o sbagliato di trattare gli altri.

Nasce lentamente, nella ripetizione della tradizione morale del gruppo, una prospettiva oggettiva, cioè non “mia” ma “nostra”, di tutto il gruppo, oppure di un popolo intero. E sulla base di questo sentimento morale del concetto di “nostro”, ogni singolo individuo può ignorare critiche e censure, per collocarsi al di fuori delle pratiche e dei valori condivisi dalla cultura, andando incontro all’esclusione dal gruppo.

E così, quando una persona si discosta dalle norme sociali, diventa importante giustificarne la mancata collaborazione di fronte agli altri, in termini di valori condivisi.

In questo modo, gli esseri umani moderni interiorizzano le azioni morali, ma anche le giustificazioni morali, creando un’identità morale basata sulla ragione, all’interno della comunità.

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