Maschile, femminile e… schwa
È tutta questione di… riflessione.
Certo, i problemi reali, importanti e determinanti la nostra qualità della vita sono legati alle desinenze maschile e femminile, assieme agli articoli determinativi.
Si tratta di una grande rivoluzione culturale, della quale, ovviamente tutti noi, sentiamo una necessità impellente.
Nel 1987, la Presidenza del Consiglio dei Ministri pubblica il libro intitolato “Il sessismo nella lingua italiana”, della linguista Alma Sabatini e delle sue collaboratrici Edda Billi, Marcella Mariani, Alda Santangelo.
Parte da allora la denuncia di una serie di usi linguistici considerati sessisti, unitamente alla proposta e le raccomandazioni per evitarne l’uso.
Prendiamo il famoso, almeno di questi tempo, “schwa”. Ebbene, non è un marcatore di genere, non è un grafema appartenente alla nostra lingua, non possiede un suono con valore distintivo, e sarebbe utile per eliminare ogni distinzione binaria tra il maschile e il femminile.
Eppure, lo schwa, secondo le comunità LGBTQ+, a loro dire, sarebbe più inclusivo. E tutto questo, perché le desinenze maschili e femminili restringono in modo cogente il campo di riferimento, mentre esistono persone che non si indentificano in queste categorie, ma in una serie di altre. E queste altre sono decisamente molte, proprio perché la mente umana, da quando è emerso l’Homo sapiens sapiens, desidera definire e ridefinire le parole, sulla base della consuetudine.
Quindi, coloro che desiderano eliminare il maschile e il femminile ritengono che l’introduzione del genere neutro possa migliorare la percezione identitaria di individui che possono definirsi come vogliono.
In fondo, ognuno di noi si definisce a modo suo, e lo fa secondo procedure diverse: con i gesti, la moda, le scelte comportamentali ed altro. In questa volontà, secondo la mia opinione, non ci sarebbe nulla di male.
Comincio a non essere affatto d’accordo quando si vuole imporre questa visione e questa tendenza ad una cultura come la nostra. Penso che ogni individuo possa scegliere, come peraltro ha decretato anche l’Accademia della Crusca, di utilizzare tanto il maschile quanto il femminile. Per esempio, io utilizzo il maschile e il femminile secondo le regole della grammatica che mi è stata insegnata, e considero ottima.
Ritengo quindi, che dovremmo riflettere sulla necessità di manifestare la propria identità serenamente, e farlo secondo il proprio gusto, consapevoli che l’esercizio di questa prerogativa umana attraverso il linguaggio non va a modificare l’opinione che le persone possiedono circa gli altri.
Insomma, bisognerebbe comprendere che le desinenze italiane, del maschile e del femminile, non indicano la propria identità di genere, ma solo il sesso biologico. Si tratta della nostra morfologia linguistica, italiana, che abbiamo in comune ad altre lingue.
Oltre a tutto ciò lo schwa cancella, oltre al genere sessuale, anche il numero, ossia il singolare e il plurale, e viene così a polverizzarsi la coesione testuale. Saremmo di fronte ad una amputazione radicale della lingua italiana.
Ecco perché io utilizzerò il maschile e il femminile, e lo farò anche di fronte ai miei studenti, i quali potranno valutare positivamente o negativamente questo mio parlare. Non mi interessa sapere la loro opinione in merito… e quindi che facciano quello che vogliono.
Certo, se vorranno farsi capire da me, in appello d’esame, dovranno parlare come parlo io, altrimenti io non potrò valutare la loro preparazione e il loro stile argomentativo.