È tutta questione di… cliché.

Partiamo da questo articolo che trovo ben fatto e decisamente molto chiaro.

Una limpidezza che, evidentemente, per il Deputato europeo che viene citato è invece avvertita diversamente. È vero che spesso a Bruxelles abbiamo la nebbia, ma nei palazzi dell’Unione non l’ho mai vista.

Nella proposta della UE si è oltremodo precisi: se un Paese membro dell’Unione riconosce come famiglia anche coppie di omosessuali, è necessario che tale riconoscimento giuridico sia valido in quei Paesi in cui il riconoscimento non esiste. Questo, per favorire la tutela legittima del minore e permettere alle famiglie europee di trasferirsi in qualsiasi Paese dell’Unione, senza avere problemi giuridici legati alla genitorialità.

In sostanza, l’Unione non vuole assolutamente mettere il becco sulla definizione di famiglia da un punto di vista etico-antropologico-religioso, perché tale definizione è tipica della cultura del Paese che ha una sua idea di famiglia, in totale libertà.

Io, ad esempio, che non concordo affatto sull’utilizzazione del termine “famiglia” per le coppie omossessuali, sono di certo d’accordo che se in un altro Paese tale utilizzazione è valida, continui ad essere giuridicamente valida in tutta l’Unione, lasciando da parte ogni considerazione etico-morale.

Vorrà dire che esisteranno famiglie omossessuali spagnole che, trasferite in Italia, continueranno a definirsi famiglie, anche se nella nostra cultura pochi le considereranno tali. Oppure, un Paese come il nostro può attrezzarsi semanticamente per trovare un termine diverso da quello di famiglia, ma che permetta comunque il riconoscimento dei diritti del minore e della genitorialità.

Non mi sembra così grave come l’esponente di FdI afferma. Forse, non ha letto bene… accade a molti politici di avere qualche difficoltà alfabetica, grammaticale e sintattica.

E questo ovunque, anche se noi, in Italia, siamo ai primi posti anche in questo.

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