È tutta questione di… distorsione della realtà.

Le attività rischiose esercitano un fascino particolare sull’essere umano.

Questo tipo di azione si presenta dall’esito aperto, per cui, nonostante l’incertezza del risultato, si mettono in gioco conseguenze importanti.

In alcuni casi, il rischio viene definito come la tensione verso un oggetto-meta non sicuramente raggiungibile. Nonostante ciò, di regola, un’azione viene percepita come realmente rischiosa solo quando il suo decorso sfavorevole implica anche una perdita. Quindi, non solo l’incertezza dei “guadagni”, ma anche la possibilità di trovarsi alla fine dell’azione con qualcosa in meno rispetto all’inizio, rendono una qualsiasi azione rischiosa.

Quando una situazione rischiosa minaccia valori particolarmente importanti per l’individuo, sarebbe decisamente ragionevole evitarla. Nel caso in cui sia (in) inevitabile correre un certo rischio, una persona relativamente equilibrata dovrebbe scegliere quella modalità d’azione che limiti il più possibile le conseguenze nefaste.

In questo contesto, però, può essere interessante rischiare solo se gli eventi prendono una piega positiva, ossia i guadagni sono particolarmente elevati, e questo accade nel caso degli uomini d’affari che speculano in borsa.

In sostanza, accettare rischi senza realistiche prospettive di vantaggiosi profitti sarebbe, in ogni caso, decisamente incomprensibile.

Esistono, tuttavia, moltissimi esempi di persone che non seguono calcoli razionali di questo genere, quand’anche abbiano riflettuto molto, e spesso sono addirittura disposti a pagare per esperire lo stato di incertezza. In questi casi, predominano innanzitutto gli stimoli forti, e le tensioni che si vivono nelle fasi immediatamente precedenti la situazione non prevedibile e incalcolabile, che può decidere le sorti del prossimo futuro.

Ci troviamo decisamente in una situazione diversa quando un individuo mette a repentaglio valori antropologici importanti, senza alcuna prospettiva di risultati vantaggiosi. Mi riferisco a quando, nei fine settimana assolati, moltissimi rocciatori si arrampicano su difficili pareti; altre persone si librano in volo su deltaplani, oppure si gettano con il parapendio in alta montagna; i motociclisti sfrecciano velocissimi e sfiorano in perpendicolare il suolo delle curve; gli sciatori azzardano discese ripide in stretti canaloni, e, in giorni di tempesta, i surfisti si gettano in onde infernali, alte diversi metri e compiendo il giro della morte.

Tutte queste pratiche hanno un tratto in comune: i valori più alti, come l’incolumità fisica, e nel peggiore dei casi la vita stessa, vengono posti in una condizione di insicurezza, senza che l’attività svolta conduca ad un risultato in grado di procurare vantaggi particolari. Anzi, il più delle volte, questi appassionati sportivi, sborsano parecchi soldi per attrezzature, viaggi e investono inoltre tempo e fatica, incontrando anche difficoltà con il proprio partner, il quale si sente, a giusta ragione, trascurato e si preoccupa.

Le ricerche condotte dalle neuroscienze dimostrano che questo tipo di individui è particolarmente concentrato sull’azione che sta svolgendo, e tutti i problemi che si incontrano nella vita quotidiana vengono lasciati a casa, come se si vivesse uno stato di “sentimento oceanico di appartenenza“.

Eppure, è possibile sperimentare questo tipo di sentimento anche facendo musica, oppure dipingendo. Resta, dunque, da comprendere perché alcune persone cercano di mettere a repentaglio la propria vita con azioni consapevolmente adatte allo scopo.

Le considerazioni che avete letto sulla pratica del rischio mi permettono, come mio solito, di formulare un’analogia con la situazione politica contemporanea: abbiamo leader che guidano il mondo facendoci diventare arrampicatori o surfisti, quando sceglieremmo, invece, di ascoltare musica, leggere e dipingere nella quieta atmosfera casalinga.

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