È tutta questione di… chiarezza e coraggio.

 

È difficile datare con precisione la nascita delle scienze sociali, perché le diverse discipline che vanno a costituirle si sono sviluppate seguendo percorsi a volte autonomi, altre in interazione fra loro.

Dopo la Rivoluzione Francese, l’interesse per i fenomeni sociali ha assunto un valore diagnostico e propositivo importante, perché ha permesso di riflettere, in modo più sistematico e preciso, sullo stato di salute delle diverse culture umane. All’interno di queste riflessioni, il rapporto fra i diversi atteggiamenti culturali e le disuguaglianze economiche è stato oggetto di analisi importanti.

Per esempio, in chiave sociologica è stata utilizzata spesso la locuzione cultura alta per definire quelle forme esistenziali associate ad alcune élite sociali, considerate come le legittime conseguenze del progresso culturale occidentale.

I sociologi hanno ritenuto, per molto tempo, che le gallerie d’arte, il melodramma, la musica classica e un certo tipo di letteratura fossero solo ad appannaggio della cultura alta. Secondo loro, questo tipo di cultura è stata rappresentata dalle persone ricche e molto istruite, perché le spese e le conoscenze specialistiche necessarie per comprenderne i contenuti e quindi goderne la gratificazione intellettuale hanno limitato l’accesso a coloro che tali possibilità non avevano.

Per contro, gli stessi sociologi hanno parlato anche di cultura popolare, riferendosi a quelle forme culturali diffuse e comunemente accettate come la visione di programmi televisivi, i film di Hollywood, i concerti rock, gli eventi sportivi e la frequentazione dei parchi di divertimento. Per godere della cultura popolare non bisogna essere particolarmente ricchi né avere conoscenze specialistiche.

Dal mio punto di vista, ossia quello antropologico-mentale, tutto questo poteva essere valido fino alla seconda metà del secolo scorso, perché mi sembra sotto gli occhi di tutti come oggi questa differenza sia molto più sfumata. Un numero sempre maggiore di persone, comprese le élite, consuma una mescolanza variabile delle due.

Mi sembra molto difficile sostenere che esista una cultura di massa completamente a sé stante e di cui usufruisce solo una classe sociale economicamente meno abbiente, quando l’accesso alle conoscenze e agli strumenti necessari per comprendere espressioni alfabetiche più significative è diventata una questione di scelte e non solo di mero denaro.

Certo, dobbiamo altrettanto ammettere che la comunicazione mediatica attuale, che possiamo comunque definire di massa, ha comportato un progressivo abbassamento dei desideri individuali legati al miglioramento delle proprie capacità cognitive. Oggi, più che mai, è necessario produrre individui che abbiano la funzione elettorale di mettere una croce su qualsiasi nome, scandaloso o meno, venga loro proposto.

Senza la minima riflessione.

E questo avviene in tutti i Paesi del mondo… purtroppo.

Quindi, è forse il caso di ragionare sul fatto che molti gruppi di persone scelgono di non migliorare le loro condizioni cognitive pur avendone la possibilità, perché questa scelta richiederebbe fatica, costanza e tenacia: tipiche espressioni di una vera conoscenza.

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