La mercificazione del sapere
È tutta questione di… consapevolezza.
Nell’attuale vita quotidiana, molti oggetti culturali sono diventati veri e propri beni economici, ossia prodotti da acquistare e vendere, beni che, peraltro, vengono fabbricati in quantità sempre maggiori dalle grandi cooperative e multinazionali.
La Disney e la Sony producono e commercializzano storie per bambini e canzoni, come molte aziende sponsorizzano una vasta creazione di programmi culturali, che variano dai concerti rock alle esposizioni nei musei.
In sostanza, trascorriamo gran parte della nostra vita, spendendo molti dei nostri soldi, nell’acquisto di prodotti culturali che variano da un costo ragguardevole per i grandi eventi ai pochi euro per l’acquisto di un libro.
Questa tendenza, ossia la focalizzazione commerciale dei beni culturali, ha determinato una sempre maggiore penetrazione del linguaggio e delle immagini pubblicitarie negli spazi pubblici e privati, e siamo circondati da rappresentazioni e simboli che hanno come unico obiettivo primario quello di farci acquistare qualche cosa.
Alcune nazioni hanno cominciato a reagire, perché non sono decisamente d’accordo su questa strumentalizzazione. Ad esempio, a San Paolo del Brasile, una città con oltre 11 milioni di abitanti, dal 2007 sono entrate in vigore alcune leggi a favore dell’avvento di una “città pulita”, che hanno praticamente bandito qualsiasi pubblicità esposta all’aperto.
In effetti, si tratta di una strategia che cerca di allontanare le persone dall’idea che il valore di gran parte degli oggetti culturali sia sostanzialmente legato al loro possibile profitto economico.
Penso che questo tipo di strategia debba essere valutato nel medio e lungo termine.
Rimane volutamente difficile, per queste multinazionali, investire sul valore di un libro indipendentemente dalle copie vendute, perché le loro domande essenziali sono: qual è stato il programma televisivo più seguito nella scorsa settimana? Quale posto occupano i film usciti nello scorso fine settimana? E via domandandosi.
Queste preoccupazioni riflettono, in realtà, una visione del mondo secondo cui rimane il denaro a denotare il successo di un prodotto culturale, come delle scelte professionali individuali.
Ecco perché, secondo me, sarebbe necessario educare noi stessi e i nostri figli ad una visione un po’ più critica e riflessiva rispetto a ciò che i media ci propongono essere di indiscutibile successo.