L’amore è…
È tutta questione di… bellezza scientifica.
Francesco Bianchi-Demicheli, neurobiologo e sessuologo, cattedratico in sessuologia clinica all’Università di Ginevra, detesta le semplificazioni quando si parla di amore, che definisce la sua specialità scientifica. E lo possiamo leggere su Tuttosalute de La Stampa, del 18 novembre 2019.
Nell’articolo possiamo leggere che l’amore dovrebbe essere considerato, come penso anche io, in tutte le sue declinazioni: verso il partner o la partner, tra figli e genitori, oppure l’amore romantico e l’affetto fra amici. Ed era ora che si cominciasse, anche in chiave scientifica, a definire l’affetto come una specificazione della categoria più ampia e, sempre meno misteriosa, dell’amore.
In sostanza, attraverso un vero e proprio cocktail ormonale (endorfine, dopamina, ossitocina, prolattina, etc.) si stabilisce un vero e proprio gioco mentale con l’altro/a, agendo sulla nostra vita a lungo termine, in modo positivo oppure negativo. Da tempo sappiamo, grazie alle immagini di risonanza magnetica, che alcune aree del nostro cervello primitivo, come l’amigdala, sono particolarmente attive durante la nascita del desiderio amoroso, nella reazione agli stimoli sessuali e nella scelta del partner. Mentre i maschi umani sono particolarmente sensibili agli stimoli visivi, le femmine umane memorizzano e prestano attenzione a quei dettagli che possono rivelare gli atteggiamenti del futuro amante. L’amigdala, predisposta al riconoscimento della paura, si spegne durante l’amplesso, per permettere un maggior contatto fisico con ciò che è ancora sconosciuto, anche se il suo lavoro potrebbe essere sotto traccia, ma sempre presente. In effetti, il nostro cervello è molto plastico, sostiene lo scienziato, durante l’amore.
Un’altra differenza importante, e di cui tutti noi facciamo oppure abbiamo fatto esperienza, è tra desiderio sessuale, che coinvolge l’insula posteriore del nostro cervello e lo stato amoroso, che coinvolge invece quella anteriore, entrando nel campo, con quest’ultima attivazione, del pensiero astratto. Pensate che la stessa insula, durante l’espressione amorosa orgasmica, si attiva nella sua parte sinistra, mentre nell’amore materno in quella destra. E questa area è legata agli stati di estasi mistica e alla felicità creativa.
Ma sappiamo anche che l’amore può manifestarsi come una patologia.
Sappiamo che le aree del cervello attive durante l’orgasmo sono le stesse sollecitate dall’eroina, e quelle che si attivano in modo inquietante nelle teste degli innamorati, respinti o abbandonati, sono le stesse nelle persone in astinenza da cocaina. Ecco perché, anche se il rapporto termina, rimane il bisogno dell’altro/a, e si mette in moto il cortex cingolato posteriore che suscita in noi rabbia, desiderio di vendetta, sentimenti di isolamento.
Eppure, nonostante queste controindicazioni, come mi capita spesso di insegnare ai miei giovani studenti, durante l’innamoramento e l’amore aumenta la plasticità neuronale, e vengono prodotte non solo nuova sostanza grigia (neuroni) ma anche bianca (i collegamenti neuronali sinaptici), e in questo stato riusciamo meglio a comprendere gli stati emotivi altrui.
Secondo Bianchi-Demicheli, oltre ai tre sistemi classici di coinvolgimento d’amore, il desiderio sessuale, il coinvolgimento romantico e l’attaccamento a lungo termine, ne esiste un quarto: un amore profondo e senza desiderio sessuale che somiglia all’amore platonico. Lo definisce “un navigatore mentale, che produce immagini felici”.
Certo, l’amore può migliorarci, come distruggerci.
E il mistero della vita, che contiene tanta luce quanta ombra, si rinnova da millenni.