La riduzione umana
È tutta questione di… fallimento.
Sarebbe relativamente semplice, perché anche ovvio, scrivere alcune considerazioni di tipo etico-istituzionale, rispetto a questa notizia. Eppure, non desidero ragionare sulla faccenda da questo punto di vista. No, vorrei, invece, soffermarmi sull’aspetto umano, esistenziale che rivela, secondo me, una sofferenza profonda. E non solo nella sua dimensione sociale, proprio perché siamo in Calabria, ma nella sua realtà esistenziale e personale, colpendo quelle persone, come in questo caso, che grazie ai propri errori decidono di rimediare attraverso la corruzione.
Sì, ritengo che quando un giudice decide di correre un rischio del genere, ossia quello di essere scoperto in azioni illecite, per risollevarsi dalle proprie condizioni economiche, la sua credibilità sia giunta al capolinea. Un capolinea di rilevanza maggiore, rispetto a persone che in situazioni simili potrebbero comunque ragionare nello stesso modo, proprio perché stiamo parlando di un magistrato. Ecco, penso che la disperazione interiore sia ai massimi livelli, specialmente in questi casi.
Invece, se dovessi sbagliarmi, perché tendo a proiettare negli altri il mio modo di vedere il mondo, e l’educazione che ho ricevuta, siamo allora di fronte ad una totale, pericolosa e purtroppo tipica forma mentis criminale. Una mente senza scrupoli, che considera il proprio ruolo e status sociale come occasioni per condurre uno stile di vita oltre misura.
Faccio fatica, e lo si può comprendere leggendo queste righe, a mettermi nei panni (ammesso che davvero lo si possa fare…) di coloro che utilizzano il proprio potere per raggiungere fini personali, a scapito di ogni possibile convinzione etica. Ecco perché penso si tratti di disperazione, oppure di criminalità. E forse, sempre dal mio punto di vista, la seconda è una forma della prima.
Certo, in alcune regioni della nostra nazione questi atteggiamenti sono endemici, e oramai esportati nel resto della nazione, quando addirittura all’estero. Così è cresciuta quella funesta nomea che esportiamo in tutto il mondo, grazie alla quale i turisti spesso ci appellano come tutti mafiosi, o camorristi.
Penso che, al di là delle mie riflessioni, si possa comunque affermare che non si tratta di una semplice questione di soldi, ma dell’esercizio spregiudicato, anche sofferto, del potere, considerato come veicolo della propria megalomania. Dovremmo trovare qualche modo per limitare l’ascesa nell’animo umano, dunque nella mente umana, di questo sentimento di onnipotenza personale, dunque anche socio-culturale. E visto che si parla di eliminare i contanti, per far fronte alle frodi, potremmo anche eliminare la sessualità reale ad uso commerciale, educando gli esponenti della pubblica amministrazione ai visori di realtà virtuale. Potremmo, una volta opportunamente ammaestrati, fornire loro dei crediti per progredire nella carriera pubblica, condizionandoli nella loro sessualità fisica. Insomma, meno fanno sesso con esseri umani e più lo praticano virtualmente, più sono pagati.
Non in contanti, però.