Religiosa politica
È tutta questione di… disonestà.
Tutti noi, penso, abbiamo creduto, almeno fino a qualche decennio fa, che esistessero diversi modi di fare politica, specialmente a livello comunicativo. Oramai, con l’avvento e lo sviluppo sfrenato dei social, siamo di fronte ad un rinnovato modo di fare comunicazione politica, che rende i rappresentanti del popolo sostanzialmente molto simili fra loro, tanto a livello nazionale quanto mondiale.
Le comunicazioni avvengono su Twitter; i personaggi politici hanno un loro account su Instagram, e regolarmente postano notizie e video; altri ancora sono amanti delle dirette Facebook, e ne producono ad ogni piè sospinto. E, secondo me, qui non c’entra niente il populismo (termine, peraltro, senza senso e che si utilizza quando non si sa cosa dire).
Assistiamo, invece, ad un vero e proprio cambio di stile comunicazionale, che sembra basarsi su ciò che la massa delle persone vuole sentirsi dire, vuole vedere e quindi desidera incontrare virtualmente. In questo contesto, non so fino a che punto sono importanti i concetti, e dunque gli aspetti semantici della comunicazione, mentre ritengo che abbia acquistato una spropositata importanza, ahimè, la comunicazione gestuale, con un impatto non verbale decisamente importante. In effetti, questo tipo di comunicazione possiede una connotazione simbolica particolarmente efficace ed efficiente. Sono degli anni ‘70 le ricerche più importanti sulla comunicazione non verbale, nelle quali si dimostra quanto sia, per esempio, importante la dimensione sonora della oralità, rispetto a quella semantica. Per esempio, alla nostra mente “arriva” prima il suono della voce della persona che parla, e, in un secondo momento, il significato di quello che dice.
Nella nostra contemporaneità, questo concetto è oltre modo importante, visto che le persone apprendono molti contenuti politici attraverso i video e dunque prestando la loro primigenia attenzione ai movimenti gestuali del comunicatore oppure al suono, prima che ai contenuti del messaggio.
Questi sono i motivi, sempre secondo la mia opinione, per cui ultimamente abbiamo assistito a manifestazioni in cui alcuni politici ostentano oggetti religiosi dall’alto valore simbolico: alcuni il Rosario ed altri la Bibbia. Non voglio parlare del concetto di laicità, perché penso che non ne valga la pena, e soprattutto in questo periodo storico, in cui tutto è volutamente confuso. Rischierei di sembrare anacronistico, specialmente dopo il 1989 e il 2001.
Voglio però esprimere un’altra opinione.
Ritengo, cioè, che quando la parola perde la propria pregnanza semantica, per il solo fatto di essere parola, le persone che non sono in grado di gestire una comunicazione carica di contenuti esistenziali espressi con il linguaggio, debbano necessariamente fare appello ad un tipo di comunicazione più intestinale.
Il fatto è, purtroppo, che per fare questo utilizzano simboli che nella tradizione religiosa dell’Occidente possiedono un valore decisamente antropologico, proprio perché hanno determinato la formazione di intere generazioni di individui, seppure nella consapevolezza che fosse necessario distinguere ciò che è religioso da ciò che è politico.
Insomma, una volta si diventava re per decisione divina (vedi i vari Luigi francesi…), ora ci si auto-incorona pregando in qualche programma televisivo, oppure tenendo in mano testi sacri. Presentarsi di fronte al pubblico mondiale, in contesti pruriginosi mediatici, oppure con oggetti simbolico-religiosi, è come attribuirsi quella divinità in terra che solo la pochezza umana, quando ridotta al peggio, può pensare di manifestare.
Pazienza, e dobbiamo noi, popolo, averne molta, ancora.
Temo.