È tutta questione di… riflessione.

Potremmo definire la conoscenza come tutto ciò che i nostri sistemi percettivi attraversano durante la loro esistenza, inviando al cervello i dati di questo incontro, affinché il cervello stesso riesca a capire cosa sta succedendo intorno a lui e dentro la persona. Un misterioso e fondamentale rapporto affettivo ci lega al mondo, come alle nostre sensazioni, senza del quale nessun individuo riuscirebbe a sopportare le situazioni dolorose.

In quest’ottica, appare ora più chiaro che la realtà percepita è davvero qualche cosa di personale, talmente personale che nessuno di noi si trova effettivamente nelle condizioni di assumere il punto di vista altrui, totalmente.

Può tentare di farlo e con l’empatia ci si riesce, ma fino ad un certo limite, oltre il quale ogni individuo esperisce in modo incomunicabile.

Si pensi alla nostra personale esperienza di spazio, inteso come ambiente nel quale avvengono le nostre azioni, intendendo dunque la casa, il luogo di lavoro, i locali che frequentiamo con gli amici, l’auto, le vie cittadine, e così via. Esiste una differenza che non avvertiamo ma che ci può allontanare o avvicinare alle altre persone, fra l’ambiente geografico-fisico e quello comportamentale, ossia dei comportamenti che svolgiamo in esso.

Per esempio, frequentare un locale con piacere, assieme a persone con le quali si possono trascorrere ore serene, e sapere, dopo averlo fatto, che in quel luogo vi sono frequentazioni di persone appartenenti alla criminalità organizzata ci induce a non ritornarci più. Eppure, il luogo geografico, il locale in sé, nella sua architettura e assieme alle persone amiche con le quali lo si frequenta, non forniva queste ulteriori informazioni su altre contemporanee frequentazioni. Una volta però saputa la cosa, la percezione dell’ambiente comportamentale generale ci induce a percepire diversamente anche l’ambiente geografico-fisico, con la decisione di cambiare locale per salvaguardia della propria esistenza in vita.

Questo esempio evidenzia chiaramente quanto sia diverso per ognuno di noi percepire uno spazio e percepire ciò che in esso avviene. Ed accade la stessa cosa quando frequentiamo spazi virtuali, e, seppure con alcune importanti differenze, una mente non educata ad esse, può fraintendere i comportamenti di coloro che abitano quegli spazi.

Sarebbe, forse, il caso di chiedersi cosa intendiamo per spazio virtuale e comportamento?

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