È tutta questione di… fiducia.

I comportamenti che ogni essere umano esprime durante le azioni che esegue per raggiungere un qualsiasi obiettivo sono regolati in base alle speranze e desideri che esso nutre nel portarli a termine.

Studi condotti su alcune matricole universitarie statunitensi hanno evidenziato come la propensione alla speranza sia un fattore predittivo delle votazioni del primo semestre. Gli studenti più inclini alla speranza si prefiggono obiettivi più ambiziosi e sanno quanta energia devono utilizzare per il loro raggiungimento. Inoltre, in soggetti con capacità intellettuali pressappoco simili, le doti della sfera emotiva fanno pendere la bilancia da una parte o dall’altra (Curry L.A., Snyder C.R., Cook D.L., Ruby B.C., Rehm M., The Role of Hope in Academic and Sport Achievement, in «Journal of Personality and Social Psychology», vol. 73, 1997, pp. 1257-1267).

Questi dati dimostrano quindi che la speranza non si limita solo ad offrire briciole di consolazione in un contesto di dolore, ma svolge un ruolo sorprendentemente potente nella vita dell’Uomo, perché costituisce un vantaggio cognitivo, specialmente in situazioni nuove da affrontare.

La speranza è qualcosa di più della visione solare di un futuro roseo. Nella sua accezione tecnica, la si può definire come la convinzione di possedere sia la volontà che i mezzi per raggiungere i propri obiettivi.

Mi piace definire, infatti, la speranza come l’esercizio quotidiano della volontà.

E proprio considerando questa accezione del termine possiamo affermare quanto gli individui siano diversi gli uni dagli altri: nella loro tendenza a sperare in generale.

Coloro che la utilizzano maggiormente, acquisiscono: a) una notevole capacità di auto motivarsi; b) la sensazione di avere le risorse necessarie per raggiungere i propri obiettivi; c) l’abilità di rassicurare se stessi nei momenti più difficili; d) la capacità di modificare gli obiettivi quando questi diventassero impossibili.

Dal punto di vista dell’intelligenza, sperare significa non cedere ad un’ansia tale da sopraffare la mente; non assumere atteggiamenti disfattisti e non arrendersi ai tratti melanconici, specialmente di fronte all’insuccesso o ad imprese molto difficili.

Quanti di noi, oggi, sono in grado di esercitare quotidianamente questa volontà?

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