Le parole e le cose
È tutta questione di… intelligenza.
Le parole sono un fatto importante. Creano il mondo, il nostro e quello di coloro che lo frequentano. E sono loro a permetterci di entrare, oltre alle azioni, nel mondo altrui. Insomma, le parole sono uno dei misteri più affascinanti della nostra umanità. Per questo motivo, è importante considerarle con attenzione. Avere nei loro confronti un grande rispetto, trattarle con dolcezza e determinazione.
Scegliere una parola al posto di un’altra quando dobbiamo raccontare un fatto, oppure descrivere un paesaggio, fa la differenza. Anche il filosofo Ludwig Wittgenstein le considerava rilevanti. Perché attribuiscono sostanza al nostro pensiero. Anzi, dal nostro punto di vista, quasi lo determinano totalmente.
Certo, esistono altri modi per raccontare il proprio mondo, interiore ed esteriore: lo sport, l’arte, la musica, la scultura, le canzoni, i video, e così via. Si tratta di codici comunicativi, utili appunto per la creazione di un legame indispensabile per vivere, per la nostra qualità di vita, in generale e in particolare. E quando si possiedono più codici di comunicazione contemporaneamente, la nostra vita diventa ricca, stimolante e creativa.
Si prenda, per esempio, il termine interesse. Esso è composto dal prefisso inter (fra, comunanza, collegamento) e il verbo esse (essere). Dunque, il verbo interessarsi significa essere tra oggetti/soggetti oppure in collegamento con l’essenza delle cose. Per questo motivo, colui il quale prova interesse per qualcosa o qualcuno entra nell’intimo della cosa o di qualcuno.
Per comprendere il ruolo delle parole è oltremodo interessante riferirsi a un codice che le stimola, anche se non le usa direttamente, ossia l’arte, esempio principe della creatività umana.
E l’arte è decisamente più sveglia della scienza.
Il cambiamento, come la voglia di trasformare le cose (così come si presentano in apparenza), sono assai più prontamente percepiti dalla creatività individuale artistica, che dalla metodologia ortodossa della cosiddetta ricerca scientifica. Sembra che l’innovazione, intesa come desiderio di mutazione, sia più appannaggio di coloro che sono in grado di osare. E forse, in fondo, il progresso scientifico dipende essenzialmente dalla fantascienza, nella quale appunto si manifestano i più reconditi aneliti della specie umana.
Si prendano ad esempio lo spazio tridimensionale e l’unicità del tempo. Sono entrambi percetti cartesiani e modelli oramai desueti, sebbene siano legati all’evoluzione della specie. L’affinamento delle nostre capacità percettive, allacciate al riconoscimento della materia e del suo movimento, hanno favorito la nascita dell’idea tridimensionale di spazio e quella di unicità del tempo. Eppure oggi appare sempre più insufficiente concepire la percezione umana come una diretta rappresentazione dell’energia percepibile.
Vi sono in effetti molte forme energetiche che, seppure esistenti e comprovate dalla fisica, non sono altrettanto sperimentabili dai sensi umani. Il modello cartesiano e la concettualità che esso prevede sono in crisi.
L’arte ne è testimone, ora come allora.
La tradizionale visione prospettica delle cose (oggetti, situazioni, movimenti e processi) non è più sufficiente oggi ad appagare la curiosità che la nostra specie sembra dimostrare verso forme diverse e invisibili di energia. Si tratta, è vero, di una curiosità antica, proprio perché alla base di qualsiasi segno umano creativo, anche se oggi irrompe con maggiore forza nella quotidianità di tutti noi.
Come si manifesta questa curiosità?
In un comportamento inteso come effetto della mancata risposta alla curiositas: la noia dell’esistere.
Questo è il primo sintomo (e il più diffuso), frutto di un interesse solo in parte soddisfatto dall’uso di modelli scientifici spesso parziali e riduttivi.
Anche gli scienziati si annoiano.
Hanno perso la strada che conduce alla creatività, perché appare scarsamente accademica e l’accademia esige la sua tranquillizzante aurea mediocritas.
Perché tutto questo? Perché manca il con_tatto con le cose.