Poveri atei, tristi e preseuntuosi…
Partiamo da questa frase che circolava qualche tempo fa su fb, tra coloro che mi seguono e persino tra coloro che mi sono amici. Certo, amici “alla maniera dei social”, quindi in modo del tutto anomalo ed anormale, rispetto al concetto che persone della mia età (54 anni) hanno del concetto di amicizia.
“Non riuscirete mai a convincere uno scimpanzé a darvi una banana promettendogli che nel paradiso delle scimmie, dopo la morte, avrà tutte le banane che vorrà. Solo l’Homo sapiens crede a queste storie”, Yuval Noah Harari, 2017, Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Bompiani Editore, Milano.
In poche righe è difficile commentare, dal mio punto di vista, antropologico-mentale, e quindi tanto scientifico quanto convenzionale, tale affermazione. La prima, e forse unica cosa, che mi viene in mente è rispondere così: “Certo, noi siamo primati umani e gli scimpanzé non lo sono”. E mi dispiace che questi fautori dell’ateismo siano talmente naturalistici, direi persino naturalmente animali, che rimpiangano il tempo in cui il loro cervello era quello degli scimpanzé.
Nello stesso tempo, ho la fortuna di lavorare con molti atei nella mia vita, dai quali imparo una buona dose di umiltà, senza la megalomania di altri loro colleghi atei che pretendono di avere in tasca quella verità scientifica che spacciano per tale, ma che è, invece ed ahimè, solo deificazione personale. Gli atei peggiori sono quelli che odiano talmente se stessi per i limiti che possiedono, da costringere tutti gli altri a non accettare il mistero dei limiti umani. E ve ne sono molti, anche se per fortuna nella mia vita ho imparato a riconoscerli persino dall’odore e quindi ad evitarli accuratamente.
Sono talmente convinti delle loro credenze scientifiche da dimenticare che ogni cultura sinora studiata, oppure scoperta, sia contemporanea che ad “interesse etnologico” (locuzione con la quale si indicano oggi quelle culture che venivano definite una volta “primitive”) ha sviluppato e sviluppa una idea di Dio. E questo termine si riferisce a tutto ciò che rappresenta l’insieme delle domande esistenziali legate al prima e al dopo della propria vita, ossia della propria coscienza.
Ecco, cari lettori, un consiglio: addestrate bene il vostro olfatto, tanto caro alle scimmie che gli atei osannano, affinché possiate riconoscere a giusta distanza tutti coloro che ancora frequentano le loro comunità zoologiche.