Dio è mobile
Dio, in tutte le sue specificità confessionali, nelle sue diverse e culturali forme religiose, è mobile, non ha fissa dimora, perché abita nei cuori di tutti noi, anche (per non dire soprattutto) in quelli che fanno di tutto per proclamarne razionalmente la negazione.
Non voglio affrontare oggi, il giorno di Santo Stefano, la questione dell’ateismo, che, in fondo, considero una misera questione esistenziale umana, esempio della nostra pochezza intellettuale. Inoltre, secondo misure diverse, tutti noi, anche se ci professiamo cristiani, cattolici o protestanti, siamo atei, dal momento che proclamiamo quello che non facciamo.
Vi è una poesia, tra le tante, meravigliosa, della mia amata Emily, la Dickinson, che recita: “Quando atto e volontà saranno estinti, non per le nostre azioni saremo giudicati, ma per ciò che Dio stima avremmo fatto, se più divini fossimo noi stati”. E siamo verso la fine del 1800. Una donna lungimirante, umana e fragile come siamo tutti noi.
Ebbene, proprio di debolezza vorrei parlare. Di quella fragilità che ci rende banalmente tutti diversamente uguali, pretendendo invece, per vanagloria ed egoismo, di essere talmente originali da risultare meglio rispetto a tutti gli altri.
La mobilità di Dio, il suo dimorare nella nostra volontà, quando sia essa associata alla consapevolezza della reale inettitudine esistenziale alla pietas, entra nei nostri cuori (e il cuore, nella teologia, è il luogo della volontà e dell’intelligenza) in punta di piedi, senza clamore, quasi di nascosto.
Una mobilità che appartiene a tutti gli uomini, senza le differenze di cui i diversi poteri religiosi abbisognano per regnare temporalmente. Un Dio che ci segue, nei nostri cambiamenti, verso il bene oppure il peggio, senza abbandonarci, proprio perché conosce come siamo costruiti, essendo Lui stesso l’architetto di questa progettazione.
Chiediamoci allora perché, in questo meraviglioso e difficile periodo storico, si stiano presentando a noi segni, segnali e simboli che potrebbero dirigere la nostra volontà verso quella umiltà esistenziale, grazie alla quale ognuno di noi diventa custode del Dio altrui. Sì, il vero credente, crede nel Dio degli altri, affinché si annulli quella differenza che fa tanto comodo ai guerrafondai. E, se ognuno di noi crede nel Dio degli altri, per forza di cose, nella mente di ognuno di noi pone la sua tenda il Dio di tutti.
Questo vi auguro, e questo mi auguro.