Il Maradona della Pausini
È tutta questione di… decenza.
In effetti, e mi capita davvero di rado, in nome della poca stima che nutro per i cantanti attuali, sono proprio d’accordo, questa volta, con Laura Pausini.
Quando si muore non si diventa santi, necessariamente, come quando si diventa vecchi non si ritorna vergini (come qualche senatore a vita pretende di farci credere…).
La storia di ognuno di noi, se qualcuno non la ricorda, svanisce con noi, nell’oblio della tomba, ma nel caso di personaggi famosi accade qualcosa di antropologicamente significativo: si ragiona sul senso della loro vita in generale, sulla loro avvenuta capacità di aver influenzato la vita pubblica e comune di tutti, quando erano in vita. È questo il motivo degli epitaffi e degli elogi funebri.
Sulla base di queste ovvie e semplici considerazioni, la figura di Maradona, come quella di tanti altri nomi celebri che questo 2020 porta via con sé (peraltro, è accaduto in anni precedenti e continuerà ad accedere in quelli successivi, speriamo…) ha avuto un peso nel mondo dello spettacolo.
Preferisco parlare di spettacolo, e non di calcio, perché tutti coloro che mi leggono sanno quanto non apprezzi quel mondo di esagerazioni economiche che rappresenta uno degli oltraggi (fra i molti dello sport…) alle persone che si guadagnano a fatica da vivere. Ora, il fatto che il calciatore argentino abbia risolto (solo in un preciso momento della sua esistenza in vita) i problemi personali legati alla sua storia evolutiva (allontanandosi dalla povertà e dalle “dipendenze”, per ritornare e concludersi in ulteriori “dipendenze”, con la droga ed altro…) non dovrebbe indurre a mancanza di obiettività.
Siamo in una nazione dove le cose più inutili e quelle più gravi sono sempre di più trattate alla stessa stregua, ed è per questo che la Pausini ha ragione quando afferma che la violenza, gratuita e non, verso le donne (ma, direi, verso tutti gli esseri viventi) fa meno notizia della naturale morte di un essere umano che ha terminato il proprio percorso esistenziale, come accade nell’ordine delle cose della vita.
Ecco, mi meraviglio però (ma non possiamo pretendere molto dai cantanti in genere…) del fatto che il giudizio su quanto è accaduto sia stato ritirato dalla signora, come se non riuscisse a portare avanti e pubblicamente un ragionamento socialmente e civilmente valido.
Come concludere, dunque, la mia riflessione?
Tutti parlano di tutto, come faccio anche io qui, nel mio blog, ma dovrebbero avere anche il coraggio di argomentare e sostenere nel tempo le proprie convinzioni intellettuali, esistenziali e cognitive.
Altrimenti, si ha l’impressione che la Napoli emotiva, quella che scende in piazza ad ogni piè sospinto per dimenticare le condizioni di vita nelle quali sopravvive, sia una caratteristica nazionale italiana.
Non mi sembra una bella pubblicità.