Il senso delle cose
È tutta questione di… confidenza.
In ottica evolutiva, le specie animali sono divise in generaliste e specialiste.
Ma noi esseri umani siamo tutte e due le specie. Ossia, siamo capaci di adattarci rapidamente alle esigenze locali, anticipando persino simili esigenze, e acquisendo le necessarie competenze, e siamo anche capaci, grazie alla cooperazione e alla divisione del lavoro, di elaborare abilità complementari tra loro, così da poter dominare gli habitat più diversi. Insomma, siamo la specie vivente più ecologicamente universale, perché in grado di essere presente ovunque, e nello stesso tempo la più ecologicamente specializzata, perché eccelliamo in una serie di competenze ed abilità cognitive e comportamentali del tutto particolari, specifiche.
E sono molti i dati scientifici rigorosi, dall’ecologia alla psicologia cognitiva, che confermano come e quanto la nostra sia una specie del tutto particolare.
L’essere umano eccede molto in densità, rispetto a ciò che dovrebbe essere tipico per un mammifero dalle nostre dimensioni. Non solo abitiamo un’area geografica straordinariamente ampia, ma veicoliamo flussi di energia e di materia enormi. In sostanza, il nostro impatto sul pianeta è globale ed evidente.
Ma non è tutto.
Se vogliamo poi considerare anche la nostra intelligenza, le capacità di comunicazione, la nostra disposizione ad acquisire e a tramandare conoscenze (non dimentichiamo le magnifiche opere d’arte, di architettura e musicali), ci rendiamo conto che ci distinguiamo come una specie molto diversa dalle altre.
Una situazione esistenziale, questa appena descritta, che sembra farci credere che siamo separati dal resto della natura. Eppure, in qualche modo e misura, anche la nostra capacità di essere animali culturali simbolici evolutivi deve essere il frutto della nostra permanenza su questo pianeta da millenni. In qualche modo, anche la cultura che esprimiamo, in tutte le sue differenziazioni geografiche e storiche, deve essere naturale, evolutivamente significativa.
Si tratta di un quesito che circa 150 anni fa si pone anche Charles Darwin, al quale non riesce a rispondere, affermando che la comprensione dell’evoluzione umana resta per lui, comunque e nonostante la sua stessa teoria, imperfetta e frammentaria.
Ciò che attualmente la riflessione antropologica e psicologica su questo tema propone è l’idea che le conquiste dell’umanità derivano dalla capacità umana di acquisire conoscenza e adattabilità da altre persone. Grazie ad essa, i singoli individui riescono a costruire, con costanza e continuità nel tempo, un insieme sempre più sedimentato di conoscenze. Ecco che oggi siamo in grado di attingere ad un vero e proprio magazzino globale di esperienze cognitive umane, grazie alle quali elaboriamo soluzioni diverse e sempre più efficienti alle sfide della vita. Possiamo dunque affermare che nel caso della nostra specie, e forse in misura diversa anche per altre, la cultura ha veicolato fortemente il processo evolutivo.
Ecco, mi sembra, proprio sulla base di quanto scritto, che dovremmo prestare attenzione maggiore a ciò che intendiamo con il termine cultura, perché ho la netta convinzione che i nostri governanti mondiali la veicolano con notevole ignoranza.