È tutta questione di… cervello.

Il termine abitudine deriva dal latino habitus, dal verbo habeo, che significa stare in senso intransitivo, e, a seconda dei contesti nel quale viene impiegato il termine, può essere tradotto con forma, aspetto, contegno, oppure comportamento esteriore.

L’aspetto interessante che vorrei mettere in luce è che in tutti questi casi, per i nostri antenati latini il sostantivo habitus indicava tanto una qualità del corpo quanto una qualità della mente. Con Dante il termine inizia ad essere tradotto anche con abito, intendo con esso sia vestito che abito mentale.

In effetti, dopo il periodo augusteo, dal I° secolo d. C. in poi, il termine habitus acquista il significato anche di foggia e, per estensione, indicherà in italiano sia l’aspetto esteriore di una persona che quello interiore. In senso simbolico, il termine si riferisce così a qualche cosa che fa parte della propria mente, che è la parte essenziale della propria invisibilità, e con la quale ci si riveste per presentarsi al mondo.

Si comprende, dunque, che il valore esistenziale e antropologico dell’abitudine è evidentemente alla base della stessa evoluzione umana, all’interno di una qualsiasi forma di società e cultura. Con l’abitudine si partecipa, seppure esprimendo la propria diversità, alla costruzione di una sicurezza sociale, basata proprio sulla partecipazione agli stessi scopi, anche se con comportamenti diversi. Ecco perché l’abitudine è figlia della tradizione, e viceversa, la tradizione è figlia dell’abitudine.

Facciamo un esempio, per cercare di chiarire meglio come l’abitudine sia qualche cosa di determinante nella nostra vita.

Prendiamo il caso in cui una persona ha la consuetudine di chiedere “permesso” ogni volta che si trova di fronte ad una porta chiusa in un luogo sconosciuto e deve entrare. Il ripetersi di questo modo di fare, giorno dopo giorno, magari in seguito ad insegnamenti avuti in famiglia sin dall’infanzia, stimola nel cervello la creazione di saldi contatti tra una cellula e l’altra. Tutte quelle cellule neuronali, implicate nel rendere possibile questo atteggiamento abitudinario, presentano come una specie di legame indistruttibile, forte e ben saldo. Questo accade nel nostro cervello quando le azioni sono ripetute per molte volte e vengono quindi assunte come abitudini, ossia comportamenti quasi automatici.

In questi casi se ne perde persino la consapevolezza, proprio perché le popolazioni di neuroni che devono eseguire il compito sono in comunicazione fra loro continuamente.

Per lo stesso motivo, quando ad esempio si perde un arto, il cervello, avendo memorizzato durante lo scorrere di molti anni le sensazioni che provenivano da quell’arto prima dell’amputazione, continuerà per sempre a sentire l’arto come presente, vivo e legato al proprio corpo. E questo avviene proprio per il processo che abbiamo appena spiegato, e grazie al quale il cervello costruisce quell’immensa banca dati naturale che chiamiamo memoria.

Bene, sulla base di questo scritto, mi sembrano chiare le origini di molti attuali atteggiamenti umani, sia in politica che nella quotidianità della nostra vita civile.

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