Armi e Dna
Negli ultimi giorni, i media italiani hanno condotto una serie di servizi dedicati all’ultima strage avvenuta nel Stati Uniti, nella quale sono morti 19 bambini e 2 insegnanti. Qualche giorno dopo, il marito di un’insegnante uccisa è morto a sua volta di infarto, lasciando 4 figli.
Il criminale assassino, giovanissimo, ha una storia psicopatologica evidente, ora che la conosciamo tutti. E, certo, la sua storia individuale non è solo il risultato di una responsabilità personale, perché, come nel caso di ogni essere umano, l’esistenza individuale è sempre la sintesi della propria biografia genetica e di ciò che si incontra nel mondo in cui si vive.
Ecco, proprio rispetto a questo mondo voglio proporvi alcune considerazioni.
Nei servizi mediatici cui accennavo prima, abbiamo ascoltato, svariate volte, la frase: “le armi sono nel DNA degli statunitensi, perché rappresentano la conquista della democrazia e della liberazione dal Vecchio Mondo, durante la colonizzazione del territorio dell’America Settentrionale”. Una frase che sembra voler giustificare, legittimare e consolidare un rapporto con le armi che continua ad essere cercato, veicolato e prodotto culturalmente, facendo appello al patrimonio genetico di quelle popolazioni.
Ebbene, dal punto di vista scientifico il genotipo (ossia tutto ciò che fa parte della nostra precablatura genetica) trova la sua espressione (ossia codificazione) nel fenotipo, che è il risultato dell’incontro di questa precablatura con il sistema della cultura, ossia con l’ambiente esterno. Per esempio: se io nasco, per familiarità genetica, da genitori che praticano costantemente il ciclismo, sarò in grado di diventare ciclista, ma alla sola condizione di incontrare nel mio percorso di vita una bicicletta, ed avere qualcuno che mi insegni ad utilizzarla. Senza occasione evolutiva nessuna precablatura genetica si manifesta.
Sulla base di questa nozione scientifica, continuare ad affermare che il DNA comanda inesorabilmente è semplicemente mistificatorio e antiscientifico, mentre sarebbe opportuno, attraverso gli anni a venire, modificare le occasioni ambientali che portano ad utilizzare le armi, affinché avvenga, a sua volta, una modificazione del “presunto gene statunitense” all’uso delle armi stesse.
Non solo il DNA influisce sull’ambiente e su noi stessi, ma anche i nostri comportamenti e i nostri pensieri influiscono sulla lenta trasformazione, attivazione o meno, del nostro patrimonio genetico.
Certo, se però è necessario, per motivazioni economiche, alimentare le lobbies delle armi, questo non accadrà mai, ed anche noi italiani abbiamo (e sappiamo di avere) un certo primato nella costruzione e commercializzazione di questi strumenti di morte.
Ho voluto solo precisare come stanno le cose, almeno rispetto alle attuali conoscenze scientifiche che cercano di comprendere l’interazione tra genoma e ambiente.