È tutta questione di… onnipotenza.

Partiamo dalla lettura di questo articolo.

Si ha la sensazione, in linea generale, di trovarci all’interno di un mondo sempre più squilibrato, lontano dall’adottare comportamenti prudenti e relativamente sereni, di fronte a situazioni particolarmente alterate.

Il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni che rientrano nell’espressione gratuita di aggressività, con caratteristiche comportamentali che permettono di identificare giuridicamente veri e propri reati, anche se non esistono codificazioni di reati di bullismo e cyberbullismo in quanto tali.

In altre parole, dunque, esistono manifestazioni illegali di comportamenti che possono rientrare nell’ampia categoria del bullismo, ma che sono comunque espressioni di un malessere esistenziale che esula dal bullismo stesso.

Una persona, oppure un gruppo di persone, composto per lo più di adolescenti, che “prende di mira” la fragilità di un proprio simile, e la condanna come espressione volontaria di debolezza interiore, con questo comportamento sente la necessità di dimostrare la propria superiorità, tanto fisica quanto psichica.

Un atteggiamento di questo tipo è parte integrante dell’evoluzione della nostra specie, e vi sono sempre state manifestazioni di questo tipo nel corso della storia umana, in diverse culture ed etnie. Eccoci così giunti al primo punto del mio ragionamento: non si combatte il bullismo affermando che tale situazione sia solo figlia di questi tempi, quando sappiamo benissimo che l’essere umano, nel suo essere tale, è in grado di sviluppare soddisfazione personale di fronte al danno che può infliggere ad un proprio simile.

Sono i messaggi culturali, quelli mediatici, scolastici e familiari, unitamente ai social, che producono nelle menti umane (e, a maggior ragione, nelle menti in formazione come quelle degli adolescenti…) la convinzione che sia possibile offendere, manipolare e sottomettere altri simili, senza per questo sentirsi in colpa.

Sia sufficiente sintonizzarsi televisivamente con qualche trasmissione di talk show, oppure guardare qualche serie Netflix o su Prime Video, per renderci conto che è decisamente facile emulare comportamenti antisociali, violenti e alienanti senza per questo sentirsi deviati, oppure malati o quanto meno in colpa.

Possiamo, dunque, decidere anche le pene più severe da comminare nei confronti di queste orribili manifestazioni, ma non riusciremo a fare nulla di realmente concreto ed educativo sino a quando non rivedremo il nostro globale concetto di convivenza contemporanea nella globalità culturale.

Sino a quando non troveremo modo di insegnare con coscienza e convinzione educativa, la tolleranza per ogni forma di diversità, non potremo davvero trovare le occasioni per scoprire ciò che ci accomuna, rispetto a ciò che ci differenzia.

D’altra parte, per trovare le cose che ci accomunano è necessario essere differenti.

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