È tutta questione di… schifezza.

Sono sempre stato d’accordo con Benedetto XVI, specialmente quando parlava di “dittatura del relativismo”.

Inoltre, dal mio punto di vista, sarebbe stato particolarmente opportuno aggiungere, a questo concetto, un ulteriore termine, ossia “assoluto”, e quindi riformulare la frase come “dittatura del relativismo assoluto“.

Si potrebbe, a questo punto, riflettere a lungo sui significati antropologico ed evolutivo contenuti in tale definizione, ma, per una questione di tempo e spazio, mi limito a fare qualche precisazione che ritengo essere essenziale.

Qualche giorno fa, presso le stanze del Teatro Guglielmi di Massa, alla presenza delle autorità politiche (il Sindaco, e i due assessori, alla Cultura e alle Politiche sociali) è stata inaugurata l’esposizione artistica di una pittrice iraniana. Era presente una giornalista, anche lei iraniana, che vive a Londra e che segue le opere di Pantea Parsapour (di cui potete vedere le opere in rete, oppure su Instagram).

Il suo intervento ha commosso l’intero uditorio, e non solo per quello che ha dichiarato sulle condizioni disumane in cui vivono le donne, e non solo loro, in Iran, ma per come ha detto tutto questo: con una totale, perché vissuta sulla propria pelle, immersione in un dramma che non può più essere considerato solo personale, ma riguarda tutti noi, come specie ed umanità.

Ecco perché ritorno, in questo articolo, a scrivere sulla questione Iran: dobbiamo necessariamente fare del nostro meglio, per quello che possiamo, affinché non si sia solamente dominati, nella comunicazione di massa, dalla questione ucraina, oppure statunitense, o ancora dal Qatargate europeo, dimenticandoci della lotta di un popolo, da troppo tempo vessato e privato di una qualsiasi libertà.

Si tratta di un popolo portatore di una cultura all’interno della quale si sono manifestati gli albori della nostra civiltà e del nostro stesso pensiero Occidentale. Purtroppo, questo popolo vive oggi il buio di quel “relativismo assoluto” che si continua a proporre nel nostro Occidente.

Esistono, anche se spesso lo neghiamo, “universali etico-biologici“, e il principale, dal quale discendono tutti gli altri, è “il diritto alla vita”. Si può credere in un Dio qualsiasi, oppure credere che tutto sia frutto del caso, o ancora di un incidente naturale, non importa: qualsiasi esistenza si presenti in questa vita ha il diritto naturale alla vita stessa, anche quando dovesse commettere errori criminali di amplissima portata.

Ora, penso che sia necessario, nella eventualità non si sia d’accordo con me, come con altri come me, discutere e argomentare, a livello locale e globale, il perché di questo disaccordo.

Lo scopo dovrebbe essere quello di “bonificare eticamente ed universalmente” questo nostro mondo, che non solo è stracolmo di contraddizioni, ma che sembra costantemente essere afflitto dal dominio demoniaco del soldo, e della ricchezza come unici valori a cui fare riferimento fin da giovani.

Dobbiamo almeno iniziare questa bonifica e mi auguro che accada qualche cosa, all’interno del mistero delle nostre esistenze, che ci faccia comprendere la necessità di intraprendere, tutti insieme, questo percorso.

Altrimenti, la vita, degna di questo nome, farà fatica a riemergere in tutti noi.

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