Dinastie
È tutta questione di… cognizione di sé.
Non ci possiamo certo meravigliare di questa notizia.
È così da sempre, ed abbiamo testimonianze del diverso trattamento sanitario riservato ai membri della famiglia dei faraoni dell’antico Egitto, rispetto a quello propinato agli schiavi.
Ed oggi, esistono sempre i faraoni, le loro famiglie, pargoli compresi, e gli schiavi. I primi sono coloro che gestiscono le finanze del mondo, trasversali e presenti in ogni dove e comunque, e gli altri sono i cittadini che, da nuovi schiavi, si adeguano alle leggi.
Ho già avuto occasione di scrivere, proprio in questo blog, che azioni identiche, specialmente quando si tratta di azioni al limite della legalità, o persino illegali, non sono considerate realmente identiche se a commetterle sono persone che appartengono a classi sociali diverse.
E qui non si tratta solo di classi sociali, ma parliamo di dinastie.
La famiglia Agnelli è la dinastia italiana, non una dinastia.
Almeno nell’immaginario collettivo popolare, al di là della presenza nella nostra nazione di altrettante importanti famiglie che hanno contribuito a rendere grande un’Italia che oggi, effettivamente, non esiste più.
Non è sufficiente recarsi in Svizzera, in qualche costosissima ed inaccessibile ai più clinica privata, per recuperare una cosiddetta vita normale, ossia scevra, nel caso del nostro creativo rampollo torinese, dalla necessità di alterare il proprio stato di coscienza con qualche dipendenza.
Eh sì! Esiste una differenza antropologica importante fra gli schiavi, antichi oppure moderni, e i faraoni. I primi tirano avanti con dipendenze di basso livello, affidandosi alla commiserazione popolare che non può certo rimediare alle loro deficienze esistenziali, mentre i secondi fingono miglioramenti che sanno di poter comprare, mantenendo intatti i propri vizi.
Perché questo?
Perché per gli schiavi i vizi sono l’unica occasione di fuggire dalla loro condizione di subalterni a tutto e a tutti, mentre per i faraoni i vizi sono un vero e proprio stile di vita, una concezione antropologica del mondo.
Un mondo che credono di avere ai loro piedi.
Ritengo quindi che sarebbe bene diventare consapevoli, e mi riferisco a noi schiavi, del nostro plusvalore come silenziosi individui che si adattano alle proprie frustrazioni e che il più delle volte fanno, delle proprie sottomissioni ai poteri dinastici, l’occasione per migliorare davvero.
Senza fatica, una reale fatica, non esiste alcun cambiamento altrettanto reale.