È tutta questione di… disponibilità mentale.

L’umanità tutta, di fronte alla natura e ai misteri del cosmo, vive un profondo senso di inadeguatezza e frustrazione, poiché, consapevole della sua finitezza e del suo scarsissimo potere nei confronti delle logiche universali, si trova perciò in una costante condizione di impotenza. Nessun individuo riesce a controllare totalmente la morte ed il tempo, mentre migliorano le conoscenze verso una spiegazione ragionevole della paura e dell’angoscia scatenate da tale consapevolezza.

La percezione del tempo, in particolare, è un vero e proprio misuratore dei cambiamenti, ed il sentimento d’impotenza rispetto all’avanzare dei cambiamenti e degli eventi temporali induce gli uomini ad elaborare risposte che colmino l’eccessiva astrattezza di tale dimensione.

Per questi sostanziali motivi, molte azioni messe a punto dalle diverse culture umane diffuse su tutta la terra, sviluppano strategie cognitive per colmare il vuoto esistenziale che si crea fra il controllabile ed il non controllabile. L’immaginario umano assolve al compito di unire cognitivamente tutte le aspirazioni dell’umanità con lo scopo di meglio tollerare, perché uniti nella cultura di appartenenza, quella quota di imponderabile che in effetti veicola molte delle nostre azioni, progetti e desideri.

“L’attività mentale funziona per il tramite di simboli (linguistici e non linguistici): la comunicazione si avvale di veicoli simbolici (parole, suoni, grafie, gesti, etc.) i significati dell’attività mentale e della comunicazione si cristallizzano in modelli simbolici che, a loro volta, possono essere trasmessi socialmente e conservarsi nel tempo, indipendentemente dagli individui che contingentemente ne sono portatori (Edelman G.M., 1995, Darwinismo neurale. La teoria della selezione dei gruppi neuronali, [1987], Einaudi Editore, Torino, pg. 7).

Abbiamo due fondamentali tipologie cognitive di immaginario: l’imaginatio e la phantasia. Con la prima si raccolgono i dati provenienti dal sensus communis, mentre con la seconda, intesa come facoltà della prima, li si coordina e li si gestisce progettualmente. Con l’immaginazione, ad esempio, l’Uomo elabora i dati provenienti dagli input reali del cavallo, mentre li utilizza nella fantasia creando il centauro, a sua volta inseribile in un immaginario collettivo (compartecipato) che fa uso di simboli. Con l’immaginario l’Uomo proietta la propria forza al di fuori dei condizionamenti contingenti del proprio tempo e territorio, trasportandola simbolicamente in un mondo infinito e perfetto. Tutti i complessi codici simbolici dell’immaginario evidenziano il continuo tentativo di realizzare su differenti piani il contatto con il trascendente.

Mircea Eliade, nel suo studio sulla fenomenologia dei simboli, evidenzia che l’umanità tende a rapportarsi con i propri simili e l’ambiente circostante (in generale con tutto ciò che è altro da sé) inventando un sistema di simboli che espliciti un preciso ordine. Questo autore ci ricorda che un ambiente-territorio considerato sicuro per la sopravvivenza dei suoi componenti è costruito separando il centro, che è sacro perché scelto, dalla periferia, abitata dalle azioni quotidiane. Quando una cultura è in grado di ordinare le cose esterne e quelle interne a sé, essa diventa capace di controllare l’ambiente ed i suoi abitanti.

Ora, in piena globalizzazione, non certo terminata ma in progress, stiamo ancora definendo il centro dalla periferia, e, se fosse, questa azione cognitiva e politica assieme possiede un senso, un valore?

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