La danza della pioggia
È tutta questione di… imitazione.
La danza della pioggia, è praticata ancora oggi in alcune culture ad interesse etnologico e viventi in alcune aree geografiche della attuale America latina.
La prima domanda da porsi è: quale funzione esprime la danza della pioggia e a che serve danzare per fare scendere la pioggia? La risposta è interna alla stessa domanda: serve perché scenda la pioggia e irrighi i campi coltivati.
Ma quello che dobbiamo chiederci noi è perché si ritiene che la pioggia possa essere invocata e perché si crede che la tecnica per farlo sia proprio la danza.
Si danza la pioggia, con i sonagli alle caviglie che ne imitino la discesa a gocce, perché la tecnica principe per appropriarsi di qualsiasi cosa del mondo, governandola con la nostra volontà, è quella di imitarla.
Senza imitazione non esiste apprendimento, né coinvolgimento in ciò che accade attorno a me. È un principio della mente antico come la nostra specie, che trae origine dalla convinzione di essere espressione parziale di un Tutto cosmico, verso il quale posso esercitare una forma di potere, seppure limitato. Se posso danzare il suono della pioggia che chiedo scenda dal cielo, vuole dire che sono in condizione di mettermi in comunicazione con il cielo, il quale può, come se fosse dotato di volontà, ascoltarmi oppure non farlo.
Ecco che nasce in questo modo l’attribuzione di volontà alla divinità, perché l’essere umano impara a stabilire una comunicazione attraverso l’imitazione di una fra le possibili manifestazioni del cielo: la pioggia.
Ma l’aspetto più interessante, dal nostro punto di vista, è che la danza della pioggia, che in questo modo diventa un rito, venga praticata dall’intera comunità. La danza riesce ad esprimere con maggiore intensità la sua funzione, se attuata da un insieme di persone e non da una sola. La pratica socioculturale di questa richiesta fatta al cielo, attraverso l’esecuzione del rito, diventa parte essenziale e necessaria perché l’imitazione condivisa da un gruppo sociale allargato di persone diventa atteggiamento consolidato.
Gli atteggiamenti umani si strutturano, in effetti, solo grazie alla loro ripetizione nel tempo, anche se in questo ripetersi possono modificarsi in qualche loro elemento. Così nasce la disposizione a rapportarsi con il cielo e le sue manifestazioni, e il passaggio dal rito a ritenere che il cielo stesso sia a sua volta governato da una entità divina è breve.
Ma quello che importa a noi qui, non è affermare la presenza, o meno, del divino nella realtà, quanto evidenziare che il rapporto con la trascendenza è la ragionevole conseguenza umana con la quale si cerca di entrare a far parte del mistero della vita.