È tutta questione di… parole giuste.

Nelle società tradizionali, la distinzione tra lavoro e non lavoro è del tutto assente.

In queste società, lo sport, il tempo libero, il gioco e l’intrattenimento, costituivano normali attività sociali di gruppo, assolvendo a diverse funzioni culturali.

Se vogliamo prescindere da aspetti utilitaristici ed economici, alcune attività che fanno parte oggi del tempo non lavorativo, sembrano essere una vera e propria riserva di rituali antropologici.

Attività cognitive con forte impatto emozionale, tanto capaci di unire quanto di dividere (la caccia, il calcio, le maratone i Festival musicali), puntualizzano la nostra vita contemporanea di segni rituali, perché funzionano come valvole di sicurezza rispetto alle costrizioni della vita quotidiana. Esse offrono luoghi aperti all’integrazione, proponendo al nostro immaginario alcune vie di uscita cariche di simboli.

Ora, ciò che voglio evidenziare è che nella società contemporanea esiste una stretta relazione fra il rito e la cosiddetta festa. Una delle caratteristiche fondamentali del rito risiede nella sua capacità di conferire un’aura di tradizione a materiali sociali e culturali proposti, nuovi o vecchi che siano.

Le azioni tradizionali si riconoscono dalla presenza di comportamenti contrassegnati da una forte ripetitività, la quale fornisce un solido supporto alle stesse azioni e alla comune comprensione da parte del pubblico.

Senza ripetizione non esiste tradizione. E tutto questo è, evidentemente, Sanremo, ma non solo. Anche la politica segue gli stessi principi rituali.

Ecco perché la festa ligure appena andata in onda, il Festival di Sanremo, rappresenta una ritualizzazione all’interno della quale al posto del sacro emergono aspetti profani, i quali abbisognano, appunto, di grandi manifestazioni, specialmente quando il potere politico è sostanzialmente in crisi. Non è un caso la presenza di un Presidente della Repubblica ad una manifestazione del genere.

Segno della attuale decadenza educativa del potere istituzionale? Per questo motivo, si assiste ad una continua commistione fra dimensione artistica e propaganda elettorale?

Inoltre, le indagini antropologiche e quelle sociologiche hanno ampiamente dimostrato che le manifestazioni in cui si fa musica, oppure si danza, sono politicamente più strumentalizzabili se inventano, in apparenza, scenografie, cortei, scalinate da scendere, e sfilate di moda.

Se un rito profano, quindi una festa, suscita forti emozioni di appartenenza ad un passato morituro (vedi gli invitati sanremesi zombie…) è possibile confondere tutti gli spettatori rispetto ad un futuro che non è in programma, perché nessuno sa dove andare.

Peggio, nessuno sa dove portarci.

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