Vendere se stessi
È tutta questione di… evoluzione.
Sarebbe il caso di non scandalizzarci per così poco e per qualcosa che si origina con l’evoluzione della stessa specie umana. Esiste una stretta relazione fra il cibo e il sesso, ossia fra il gustare una buona pietanza e il raggiungere l’orgasmo sessuale. E questo accade perché sono gli stessi neuroni serotoninergici ad essere coinvolti nelle due esperienze. Sono queste cellule neuronali, sensibili al neurotrasmettitore serotonina ad attivarsi quando mangiamo e quando facciamo sesso. Ed avviene per naturali e antropologici importanti motivi, grazie ai quali nella nostra evoluzione mentale impariamo ad unire queste due pratiche che contengono, in loro, alcuni tratti di pericolosità ed altri di serenità sociale, culturalmente condivise.
Quando si mangia, lo si fa, in genere, in compagnia, condividendo il frutto del proprio lavoro, dalla caccia alla semina, perché alimentarsi assieme consolida i rapporti, unisce i gruppi sociali e permette di conoscere le persone più intimamente. Mettersi a tavola è un atto intimo, anche quando lo facciamo per la strada, in piedi e con la fretta di ritornare al lavoro. Ingeriamo materiale che potrebbe avvelenarci, ma quando è invece sano, godiamo del piacere che procura, ai sensi e allo stomaco. Queste stesse cose, con le dovute differenze, accadono nella sostanza quando facciamo sesso: incontriamo uno sconosciuto/a, condividiamo i reciproci appetiti (siano questi corporali oppure economici), e mettiamo a rischio la nostra esistenza, perché non sappiamo quali potranno essere le conseguenze.
Dunque, unire il cibo alla prostituzione è semplicemente naturale, tenendo anche presente che, sempre in ottica evolutiva, parliamo proprio di prostituzione alimentare, ossia di quella vendita del piacere sessuale altrui in cambio di alimenti. Tale pratica risale a tempi lontanissimi, quando nei primi gruppi umani al ritorno dei cacciatori con le prede, le donne, per ottenere maggiori quantità di cibo per i loro piccoli, in competizione con le altre femmine del gruppo, offrivano prestazioni sessuali ai maschi.
Forse, dunque, se volessimo davvero integrare queste persone, dovremmo cominciare a nutrirle offrendo loro di lavorare, come ho spesso ribadito in questo blog, perché solo in questo modo la sessualità potrà essere, eventualmente, vissuta come scelta e non come compensazione per la propria indigenza.
Ed è ovvio, come si legge nell’articolo che cito, che non esistono differenze di religione, di cultura di fronte al piacere.
Non piace ciò che piace, come molti credono, ma piace ciò che serve.