Violenza_00È tutta questione di… confronto.

Partiamo da questa notizia, dalla quale scaturiscono le mie personali considerazioni  che leggerete qui di seguito.

La percezione della femmina umana, in questo mondo globalizzato, è certamente massificata e sintetizzabile in: soggetto/oggetto di soddisfacimento sessuale. Il maschio umano, dal canto suo, cresce nella convinzione, culturalmente legittimata e generalizzata, che per essere tale deve considerare la femmina come terra di conquista.

Ora, in entrambi i casi, vale a dire, sia le femmine che i maschi, sono educati dalle agenzie educative deputate a farlo, in qualsiasi parte del mondo, come la famiglia, il clan sociale, il gruppo dei pari all’interno del quale si cresce, e la scuola. In poche parole, tutti noi cresciamo all’interno di un sistema culturalmente determinato e, cosa più importante, autodeterminantesi.

Bene, partendo da queste considerazioni, basi dell’Antropologia Culturale e di quella della Mente, è evidente che per poter svolgere alcuni tipi di lavori, come quello dei centri di accoglienza, è bene conoscere come reagire di fronte a maschi e femmine di un certo tipo.

Bisognerebbe essere formati, educati, preparati ad affrontare le diverse tipologie di esseri umani che si incontrano, con la capacità di leggere tutti i segnali che emergono durante le relazioni interumane. Esistono chiari messaggi, come in questo caso, che emergono come veri e propri sintomi di una precisa individualità e che possono essere il preludio di qualche cosa di poco piacevole, anzi decisamente criminale.

Ora, le giustificazioni che questa povera vittima adduce, anche di fronte al giudice, rispetto alla sua triste e traumatica vicenda, sembrano rivelare una totale impreparazione culturale e professionale, sebbene in buona fede. Non basta la buona fede per relazionarci con altre culture, con visioni culturali estreme nelle quali gli esseri umani sono, senza offesa per gli animali, solo “buchi”.

E questa visione non è solo di alcune culture africane, ma anche di alcune manifestazioni sofisticate del mondo occidentale. Nei nostri media, le femmine e i maschi seguono stereotipi precisi che continuano a basarsi sul rapporto dominio-sottomissione, esattamente come sta accadendo persino a livello di Europa: i “frugali” dominano, mentre gli “spendaccioni” si sottomettono.

Dicono che si tratti di competitività. Altra forma di violenza, legittimata da correnti di pensiero sociali ed economiche (con regole che andrebbero forse messe in discussione), ma sempre di violenza si tratta.

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L’esempio che ho appena riportato, e che fa riferimento al Recovery Fund, è assimilabile a questa forma di violenza carnale che la femmina umana palermitana in questione ha vissuto. Non era preparata ad interpretare nel giusto modo dei segnali sessuali, affatto innocui, del maschio africano.

Come noi, altrettanto, non siamo capaci di interpretare i segnali che questo trattato esprime: il totale fallimento di ogni politica che tuteli i più deboli, e lo sfascio della nazione, con giovani che non solo continueranno ad emigrare, ma che non avranno più nemmeno un lavoro. Dovremmo avere uno statista vero, nella nostra nazione, che, con maestria, strategia e silenziosamente, sapesse traghettarci fuori da questa perniciosa struttura burocratica che chiamiamo Europa.

La violenza non è un raptus, ma segue un percorso sintomaticamente chiaro.

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