I colossi dell’aborto
Questa è la notizia che mi induce a scrivere qui la riflessione che leggerete.
Nella vita di ogni essere umano, giustamente e anche naturalmente, avviene una personale evoluzione, molto spesso confusa con l’idea di cambiamento.
In realtà, il termine giusto che dovremmo impiegare, per indicare questa evoluzione, è rivelazione. In altri termini, con la crescita alcune nostre convinzioni, idee e visioni del mondo subiscono una rivisitazione interna, spesse volte silenziosa, grazie alla quale si rivelano a noi stessi elementi essenziali dell’esistere umano, che prima non avevamo considerato.
Accade come se il nostro crescere fosse un lungo processo verso l’essenziale, verso quel nucleo centrale della nostra esistenza che, quando si è più giovani, è ancora sconosciuto a noi stessi.
A Kevin Duffey sembra sia accaduto proprio questo, specialmente quando afferma che lui stesso ha sostenuto “(…) sempre che l’aborto implicava l’uccisione di una vita umana“, come si legge nell’articolo in ipertesto. Dunque, questo medico, da abortista convinto, nel momento in cui scopre che la pratica dell’interruzione volontaria della gravidanza non può essere affrontata nella solitudine dell’autogestione (tendenza attuale e quasi generalizzata nel mondo…) dichiara di aver mutato idea.
Nel frattempo, lo stesso medico, per salvaguardare la vita di una possibile madre incompetente, decide che la strada da percorrere sia quella di rispettare la volontà della donna di interrompere la gravidanza.
In sostanza, per salvaguarda una vita ne uccidiamo un’altra.
Mi sembra, dunque, che il concetto di prevenzione di gravidanze indesiderate non emerga minimamente, mentre si continui a mantenere l’idea (e non solo nei confronti dell’aborto, purtroppo) che la legge dell’esistere umano non dipenda dalla società e dalla cultura, ma dall’idea imperativa del ”mors tua, vita mea”.
Penso, dal mio punto di vista, che dovremmo riflettere con maggiore attenzione su quello che stiamo facendo… in generale.