Famiglie italiane
È tutta questione di… organizzazione.
Si dice famiglia, secondo una duplice considerazione, e grazie a due notizie.
La prima. Apprendiamo dai canali d’informazione che tre generazioni di una stessa famiglia di Seregno, provincia di Milano, erano impegnate nell’attività (se così si può chiamare…) di spaccio di droga in modo molto singolare. La nonna settantacinquenne nascondeva la droga nel proprio pollaio tra le galline ed aveva il compito di guidare l’acquirente di turno all’interno del nascondiglio, per prelevare lo stupefacente; il papà cinquantunenne era il capo della banda; il figlio del capo, 22 anni di età, disoccupato, aveva il compito di reperire clienti nei locali.
La seconda. Siamo stati informati che a Sant’Urbano, provincia di Padova, un uomo di cinquantacinque anni che conviveva con la mamma di 88 anni ed uno zio (il quale nel 2016 aveva 87 anni), aveva preso una decisione importante: allorché nel 2016 lo zio era passato a miglior vita, l’uomo ne aveva occultato il cadavere, per continuare a riscuotere la sua pensione. E dato che progetto vincente non si cambia, alla recente morte della madre (anch’ella per cause naturali), l’uomo ha pensato di occultare anche questo cadavere, continuando ad incassare la pensione della mamma. Non ha dovuto far altro che attendere che la natura facesse il suo corso.
Due storie che, apparentemente, non hanno alcun tratto in comune, se non quello di essere storie familiari. E invece no. Hanno molto in comune. Nella casualità del fatto che protagoniste siano due famiglie radicate territorialmente nel Nord Italia (quella che produce, non dimentichiamolo!), l’intera vicenda apre uno squarcio sul ruolo della famiglia italiana in quest’era di crisi e globalizzazione massiva.
Certo, fa luce in negativo. Ma, evolutivamente, è nei momenti di crisi, di strappo, di rivolgimento che l’Uomo supera i limiti del suo vissuto e diventa altro rispetto a ciò che era prima. Ci troviamo in un momento storico che è tecnologicamente molto avanzato, ma anche di profonda crisi economica ed occupazionale, di insicurezza. Un periodo in cui la precarietà esistenziale è diventata normale condizione di vita, mentre la progettualità è sconfitta dal sentimento dilagante di sfiducia.
Certo, per il caso di Seregno mi si potrà obiettare che l’inclinazione a delinquere non ha nulla a che vedere con tutto questo. Ed invece no. In quel nucleo familiare c’è un ragazzo di 22 anni che avrebbe tutte le carte in regola per affacciarsi alla vita in modo costruttivo ed, invece, è disoccupato. Ha molto tempo da dedicare alla ricerca di clienti. È circondato da persone che, evidentemente, non credono (e, forse, neppure ci pensano) che l’emancipazione culturale potrebbe dare, a questo ragazzo, chances di vita migliori, rispetto allo spaccio di droga. Non dimentichiamo che questa gente nasconde merce preziosa in un pollaio, e i proventi delle vendite in una legnaia!
Ecco perché le storie di questi due nuclei ci raccontano di un’Italia che in tempi di crisi economica e di scarsa futuribilità, si trova in situazioni di disagio psicologico o sociale, e cerca rifugio nella famiglia.
A Seregno ben tre generazioni si organizzano per procurarsi denaro. Il membro più anziano ha abdicato al suo ruolo di guida professionale ed etica, e non si sente più investito del compito di faro e monito del proprio nucleo familiare. Al contrario, il membro anziano, quasi dando una muta assoluzione alla sua progenie, consente che nella sua casa si pratichi un’attività illecita. Non spinge il nipote ad andarsene dalla famiglia per emanciparsi dalla sua condizione, ma lo fa rimanere nel nucleo che, comunque, lo nutre. Non siamo di fronte ad una potente famiglia mafiosa, ma dinanzi a spacciatori di periferia. Eppure, nel proprio piccolo, questa famiglia ha fatto quadrato intorno a se stessa. La matriarca detiene il bene primario che fa vivere tutto il nucleo, stringendosi fortemente al componente più giovane.
Analoga dinamica a Sant’Urbano. Quest’uomo “un po’ strano” ha vissuto in quel tipo di famiglia che i figli della guerra formavano in modo spontaneo. Famiglie composte da vedovi, nipoti e figli mai sposati. Mamma (evidentemente vedova), fratello della mamma (solo), e figlio-nipote anch’egli solo. Anche questo nucleo ha sostenuto il membro più giovane per età, al quale una mamma ed uno zio di primo grado avrebbero dato tutto. Lo hanno fatto finché sono stati vivi. Ancora in vita, i titolari delle due pensioni hanno provveduto a sostentare questa famiglia, e il figlio-nipote non ha avuto alcunché da temere. Il suo nucleo familiare lo teneva al riparo. E quest’uomo ha cercato nella sua famiglia il medesimo riparo, la stessa sicurezza, anche quando i suoi cari sono venuti a mancare.
Seregno e Sant’Urbano ci parlano di un’evoluzione, in negativo, della dimensione domestica, nell’ambito delle fasce sociali in cui la fragilità economica, ma soprattutto, culturale fanno attecchire e crescere il germe dell’illiceità. Nel male e nel disagio, la famiglia ha perso la propria funzione di spinta dei suoi più giovani membri verso il mondo, anche per cercare aiuto, affermazione, realizzazione. L’adulto ha smesso di dire “non voglio che tu soffra quello che ho sofferto io”. Nel male e nel disagio, il componente più giovane cerca rifugio e protezione all’interno del proprio nucleo familiare, in qualsiasi forma si esprima, e il nucleo lo tiene stretto a sé.
Sono due storie brutte e naif nello stesso tempo. Ma sono anche due vicende su cui la politica dovrebbe riflettere profondamente e da cui trarre spunto per azioni mirate.
In vita, per la vita ed oltre.