Perché il populismo?
È tutta questione di… riflessione.
Partiamo da queste considerazioni, che giudico fonte preziosa di riflessioni a meditazioni.
La prima considerazione è di ordine neuro-cognitivo, e si riferisce al fatto che il politologo di cui si parla nell’articolo linkato, afferma con giustezza scientifica che la mente è espressione delle proprie emozioni. Noi sappiamo, in effetti, che le emozioni hanno il compito evolutivo di dirigere le nostre scelte razionali, e che permettono una valutazione istantanea, intuitiva dell’ambiente, segnalando alla mente quali riflessioni siano utili per la sopravvivenza. Dunque, rispetto alla tristezza, per esempio, quando la nostra mente l’avverte, avviene quella elaborazione che permette ad ognuno di noi di superarla, giustificarla e comprenderla, associando tale elaborazione allo stimolo che l’ha alimentata.
Questo avviene per tutte le nostre sei emozioni primarie, ossia per la sorpresa, la paura, il dolore, la gioia, l’ira e il disgusto. Quindi, ciò che viene definito oggi populismo non è pancia umana, ma elaborazione socio-culturale di menti umane che hanno valutato in un certo modo le emozioni che vivono tutti i giorni. E si tratta di emozioni che hanno a che fare con i propri progetti di vita, le proprie esigenze lavorative e dunque il proprio futuro. Sono dunque risposte meditate e non improvvise, oppure impulsive, per pensare al proprio futuro in termini possibili, e non improbabili.
Questo è la Brexit e questi sono i diversi sovranismi che stanno emergendo in tutta Europa, e non solo. Mi sembra che anche gli Stati Uniti, la Cina, l’Australia ed altre grandi nazioni/continenti si stiano organizzando in questo modo. Ciò significa che nell’era della globalizzazione e dei social, tutti noi siamo isolati e connessi.
La seconda considerazione è di ordine più antropologico-evolutivo.
Gli eventi che caratterizzano l’evoluzione della nostra specie, in tutte le sue manifestazioni culturali, sono suddivisibili in due grandi categorie fondamentali: a) macroscopici e b) microscopici. Entrambe le categorie, si suddividono ulteriormente in: a) macroscopici visibili o invisibili e b) microscopici visibili o invisibili. Quando sono macroscopici, le reazioni del potere costituito sono della stessa intensità, come nel caso della Rivoluzione Francese del 1789 e della Restaurazione nel 1815, considerate nella loro dimensione evolutivo-antropologica, individuando le dovute differenze socio-culturali. Quando gli eventi sono microscopici, le reazioni sono sporadiche, localizzate e apparentemente “normali”, come nel caso della caduta dei governi edei risultati elettorali gestiti con i sondaggi. In questo ultimo caso, possono anche non presentarsi reazioni apparenti, ma si presentano comunque strategie a lungo di termine di risposta, sempre da parte del potere costituito.
Ed è esattamente questo ultimo tipo di reazione che si sta verificando in Europa, da parte dei tecnocrati e del potere dello status quo, rispetto alle istanze, sempre meno sotterranee, di autonomia nazionale, sociale e culturale. Ecco perché, sono d’accordo totalmente con il politologo circa il fatto che ciò che sta avvenendo in Gran Bretagna aprirà le porte sociali e culturali verso un aumento progressivo dei diversi sentimenti nazionali dei singoli Stati Europei.
In questo contesto, persino le sardine, che rappresentano una reazione disperata del PD per recuperare voti tornando fra la gente (senza però nessuna capacità di giustificare politicamente questo recupero, dato il livello di sfiducia cognitiva per i sinistrati che il popolo tutto nutre) non fanno altro che alimentare la riflessione definita sovranista.
In questo scenario, cosa penso?
Beh, penso che il male della politica mondiale generale, e in particolare quella italiana, sia quello di creare e cercare alleanze partitiche, invece di produrre idee realistiche, concrete e realizzabili di futuro condiviso.
E, come accade sempre, per ora, nella storia biologica umana, vincerà il desiderio di sopravvivenza, ossia la speranza di un futuro. Non dimentichiamo che io definisco la speranza come l’esercizio quotidiano della volontà che si adegua al proprio immaginario di futuro.