Una mamma mi scrive
Ricevo da una mamma la breve lettera che oggi pubblico.
“Il mio Covid, e vi prego non fermate di nuovo il mondo, non avete idea di quello che già è accaduto.
In una storia così assurda, dai confini così lontani da qualsiasi immaginazione, credo che ognuno di Noi abbia vissuto il proprio Covid-19, ognuno ha fatto la sua fatica: chi ha perso persone care, chi ha perso il lavoro, chi è stato lontano dai propri affetti forzatamente, ognuno ha la sua terribile e faticosa storia. Ma mi domando se è davvero chiaro quanto male abbia fatto ai giovani, alla nostra futura generazione, questa scelta necessaria ma violenta, che li ha strappati senza pietà dalla loro vita già fragile, già esile, già turbata.
Non è facile essere adolescente oggi, in una realtà dove solo i numeri contano e dove è complicato identificarsi se non corrispondi almeno ad un cliché, dove si cercano solo, belli, bravi, competenti, studiosi ma sportivi, affascinati ed alla moda ma con una propria personalità.
Solo?
Nient’altro?
Non abbiamo qualcos’altro da succhiare a questa generazione che come tutte fa fatica ad affrancarsi alla ricerca di un proprio Io, misurandosi di continuo con le altissime richieste delle persone che nella loro propria vita contano: professori, allenatori, youtuber, influencer.
Avevo una figlia a Gennaio 2020, che per questioni ovvie chiamerò Paola, avevo una ragazza di 16 anni bella e brava, piena di amici e di amiche, studiosa e sportiva, una bella persona. Ora Paola è rinchiusa in una struttura che si occupa di malattie legate ai disturbi alimentari, è entrata in ospedale al peso di 35 kg, ha lottato fra la vita e la morte ed ora combatte i suoi demoni, tutti quelli che con l’ausilio del lock down si sono svegliati, uno per uno, assalendola e mortificandola. Era la fine di Marzo quando Paola si è resa disponibile a farsi curare, era subito, era presto, era in tempo, ma le strutture erano chiuse, al telefono non rispondevano, dai medici non si poteva andare, gli amici non li poteva vedere, il fidanzato nemmeno, lo sport non poteva praticarlo, gli psicologici non ricevevano nessuno, i medici specializzati non prendevano pazienti nuovi.
Paola è entrata in ospedale alla fine di agosto consumata dalla fatica che la sua malattia le ha fatto conoscere ed i medici tutt’ora parlano come se le lungaggini fossero una noncuranza della famiglia, un rimando, una faticosa presa di coscienza. Non avete idea di cosa il lock down abbia creato, non potete capire cosa abbiamo visto, non sapete chi non è stato ascoltato e non lo sarà mai, ma vi prego non prendete decisioni affrettate.
Ognuno ha il suo Covid-19 da combattere.
Una mamma, come tante“.
Meditiamo, e speriamo siano in grado di farlo anche questi para-governanti.