È tutta questione di… consapevolezza.

Certo, eravamo nel 1789… ed eravamo anche in Francia, una nazione decisamente diversa, nel bene e nel male (come accade in tutte le differenze…), rispetto alla nostra. E direi anche rispetto al mondo intero.

Se non fossi, o almeno non cercassi di essere, attraverso la disciplina che porto avanti, un antropologo (e persino “della mente“) sarei, molto probabilmente, in una condizione mentale tendente alla tristezza.

Perché scrivo questo?

Penso sia sufficiente rapportarsi con i media, ascoltare almeno una volta al mese, i diversi telegiornali, leggere qualche articolo oppure assistere a qualche approfondimento politico, per rendersi conto che questa nazione sembra essere letteralmente allo sbando.

Non siamo i soli, perché si ha anche l’impressione che le attuali leadership del mondo intero non sappiamo gestire davvero le “velocità diverse e desideri evolutivi differenziati” che caratterizzano i popoli del pianeta.

Sino a quando ci è stato oltremodo comodo, abbiamo fortemente favorito una indiscriminata industrializzazione occidentale, fregandocene altamente di quel resto del mondo che subiva questa nostra evoluzione e del loro svantaggio, proprio perché creava una povertà funzionale, e di molti, rispetto alla ricchezza di pochi. Ora, che questo mondo, da decenni definito “terzo o quarto”, vuole godere dei modelli di ricchezza costruiti dall’Occidente, pretendiamo che restino nel fango, in nome dell’inquinamento, della sostenibilità, e della prudenza.

E prima che accadesse questo, cosa abbiamo noi invece fatto? Abbiamo sfruttato l’impossibile, per ottenere il massimo dei benefici e tutti per noi.

Cosa mi “salva” in queste considerazioni? Due tipi di consapevolezza.

La prima riguarda la scelta di non avere avuto figli e che penso sia stata vincente, perché non sarei, forse, stato in grado di sopportare i livelli di ansia, palese oppure latente, sul futuro e che invece caratterizza questa nostra gioventù. Certo, mi riferisco ad una “certa gioventù”, non a tutta.

La seconda deriva dalla disciplina che studio che mi permette di mitigare le preoccupazioni che molte persone vivono su ciò che potrebbe attenderci in questo mondo. In effetti, l’Antropologia della mente insegna la “pazienza, la perseveranza e la tenacia”, come elementi che possono determinare il benessere della specie, così come è accaduto in passato, nonostante questi tre fattori non escludano la presenza di morti e feriti.

Ecco perché continuo ad essere positivo, e a sorridere rispetto ai catastrofismi e le finte promesse elettorali e politiche, perché so che in tutto questo, gli attuali esponenti politici mondiali, non servono quasi a nulla e che sarà la Natura dell’evoluzione stessa a scrivere la futura storia del mondo.

Deo Gratias!

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