È tutta questione di… salvaguardia.

Soltanto quando abbandoniamo i nostri simili, da tutti i punti di vista, compresi quello culturale e quello etnico, siamo nelle condizioni di incontrare davvero il diverso da noi. Soltanto quando rischiamo, coscientemente e volutamente, di diventare stranieri su questa terra, rispetto a tutto e a tutti, iniziamo un cammino in cui il nostro andare diventa cercare di ritrovarci in ogni cosa, in ogni situazione e persona.

Dobbiamo imparare ad abbandonare la nostra casa, senza per questo lasciare le nostre radici soltanto in balia di antichi ricordi, per spostarci verso la terra promessa che desideriamo e che possiamo raggiungere con l’aiuto della relazione affettiva con il mondo e le persone.

La mente umana funziona attingendo dalle pulsioni biologiche che sono vere e proprie basi evolutive del comportamento. Le ricerche scientifiche confermano che esiste un rapporto importante tra l’istinto di sopravvivenza e quello di conservazione della specie. L’individuo può scegliere il fine ultimo della propria esistenza, garantendo un aumento della diffusione del proprio patrimonio genetico, assieme a un miglioramento delle condizioni esistenziali della propria discendenza, diretta e indiretta.

Proprio in questa prospettiva dobbiamo collocare il concetto di altruismo, ossia quel comportamento mediante il quale si arreca un vantaggio ad altri, diversi dal protagonista, con conseguente danno a quest’ultimo. Una definizione che bisogna spiegare meglio, perché di primo acchito crea qualche problema, per non dire stupore.

Spesse volte le azioni dell’uomo moderno hanno origini remote e trovano la loro prima espressione in comportamenti che già i nostri lontanissimi progenitori mettevano in atto, perché evolutivamente appropriati.

Gli esempi che si possono fare sono numerosi.

Si pensi alla gelosia, all’incapacità delle donne di “fare squadra” e all’incapacità degli uomini di approfondire discorsi di analisi interiore, arte in cui le donne, invece, primeggiano, e via elencando.

Tutto è già avvenuto ed è arrivato sino a noi perché evolutivamente vantaggioso.

Come ulteriore esempio, solo vagamente accennato quando non del tutto ignorato anche nei libri di etologia umana o di antropologia biologica e culturale, pensiamo al cosiddetto comportamento di adozione.

Adottare individui non appartenenti al proprio gruppo non premiava evolutivamente perché, nei gruppi che vivevano al limite della sussistenza, una bocca in più da sfamare era un problema e avrebbe richiesto di sottrarre cibo ai propri figli o comunque al gruppo di consanguinei.

Questa riflessione iniziale mette in evidenza l’importanza e la grandiosità dell’adozione, la quale richiede comunque di superare i propri piccoli o grandi egoismi per un bene superiore, e quanto superiore!

Non è una rivelazione se dico che adottare richiede amore e dedizione totale da parte dei due genitori. Adottare richiede dunque un impegno di affetto, di energie, di disponibilità, di pazienza ancor prima che il figlio venga dato concretamente in adozione, e non chiede, soprattutto, non si aspetta una contropartita. Pensate ai genitori che adottano bambini che presentano patologie conclamate in un mondo dove nel periodo di gravidanza vengono fatti tutti gli esami possibili per essere sicuri che il feto sia perfetto, perché in caso contrario si procede ad altro.

Lascio a voi le riflessioni ulteriori.

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