Un presente cerniera
È tutta questione di… scienza utile.
Partiamo da questa notizia recente.
Seguo indirettamente, ma con una certa costanza e curiosità scientifica, i progressi della robotica e dell’AI, perché costituiscono un importante indicatore, secondo la mia prospettiva antropologico-mentale, di ciò che sarà la vita dell’umanità nel prossimo futuro. E coloro i quali negano l’avvento sempre più pervasivo di questi progressi scientifico-tecnologici forse non hanno ben chiara l’importanza evolutiva del concetto di strumento, arroccati sull’idea che la tradizione, oppure il tradizionale, sia sempre più positivo dell’innovativo.
Ma, non è così, perché tanto la tecnologia quanto la mente umana, nelle loro diverse applicazioni esistenziali, contribuiscono da sempre a determinare importanti scelte adattative, grazie alle quali è possibile trattenere il meglio del passato e del presente, adattandolo al meglio del futuro pensabile.
Affinché, però, avvenga questo connubio, tra passato e futuro, è importante, sempre secondo la mia visione, concepire un presente cerniera, all’interno del quale la dimensione etica, globale, umanitaria acquisti un valore molto più importante e basico, rispetto a quello che sembra oggi occupare. In altri termini, l’assunzione condivisa e cosciente di regole che globalizzino il sentimento di solidarietà umana, tanto verso se stessi come esseri umani quanto verso l’ecosistema del quale siamo parte, dovrebbe essere l’investimento cognitivo ed esistenziale principale, nelle nostre attività quotidiane. Il presente che stiamo vivendo, seppure con tutte le sue differenze culturali e geografiche, dovute alle diverse etnie che appartengono ai territori del mondo, dovrebbe diventare l’occasione temporale nella quale spendere il massimo degli investimenti etici e morali. Investimenti che non solo riguardano la scuola, ma specialmente la politica mondiale, senza persistere in quell’egoismo istituzionale e statale, nazionale, che oggi si traduce in solipsismo megalomane ed anti-evolutivo.
Dovremmo ottenere, in quest’ottica, un’umanità che percepisca l’adesione a regole etiche globali, che tutelino la dignità esistenziale di qualsiasi forma di vita, soprattutto economicamente, come un imperativo categorico kantiano, senza lo spauracchio di una sanzione. Dovremmo sviluppare quel sentimento del dovere non più indirizzato a noi stessi come individui, ma a noi stessi come umanità intera. Solo in questo modo, anche le innovazioni tecnologiche dell’AI potranno effettivamente essere a favore dell’Uomo, e gestite per un benessere comune.
Ecco perché credo che le conquiste dell’AI siano utili: stimolano in tutta l’umanità l’assunzione di una responsabilità di base, essenziale e diffusa che si concentra sul come l’Uomo debba utilizzare le stesse conquiste, e non sul come l’Uomo possa.
Dovremmo recuperare, tutti noi, il valore del verbo dovere, abbandonando quello ipertrofico del verbo potere.