È tutta questione di…riflessione.

La mente umana seleziona e divide.

Nella sua costante elaborazione in effetti costruisce, utilizzando concetti (categorie) che I. Kant definisce “a priori”. La vita si presenta apparentemente come un tutto unico, inconfondibile e, in un certo senso, persino irripetibile.

“L’evoluzione è un fatto, ed è tra i fatti più sicuri noti alla scienza. Ma è dovuta iniziare in qualche modo. La selezione naturale non può far funzionare le sue meraviglie finché non sono presenti certe condizioni minime, la più importante delle quali è un sistema accurato di duplicazione – il dna, o qualcosa che funzioni come il dna. L’origine della vita su questo pianeta – cioè l’origine della prima molecola capace di auto-rigenerarsi – è difficile da studiare, perché (probabilmente) è accaduta solo una volta, quattro miliardi di anni fa e in condizioni molto diverse da quelle che ci sono familiari (Dawkins R., 2007, Perché quasi certamente dio non esiste, in MicroMega, vol. 2, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, pagg. 4-12, 10).

Siamo dunque immersi in una situazione fortunosa: partiti dalla semplicità eucariotica siamo pervenuti alla coscienza, e ci ritroviamo umani costruttori. Ecco dunque il primo dato importante: l’esistenza è una interminabile costruzione dal semplice al complesso.

L’uomo è complessità non riconducibile a semplicità comprensiva, mentre nel mito tutto ciò che appartiene al dato della natura è una sorta di riduzione, dal complesso al semplice, dal caos all’ordine.

L’ordine, le regole, le precise determinazioni, le aspettative soddisfatte sono una costruzione cerebrale, quindi non presenti nello stato delle cose visibili, ma dettate invece da esigenze emozionali e cognitive assieme. In altri termini, il caos costituisce un modello matematico nel quale tutti siamo compresi e che, nella sua flessibilità e autorganizzazione, ci propone criteri esistenziali che noi, in quanto esseri umani, possiamo solo disoccultare, ossia svelare attraverso la filosofia e i diversi saperi.

Con il termine realtà, dal latino realitas, ci si riferisce ad una generale qualità di ciò che è appunto reale.

Per Platone, una di queste qualità è rappresentata dalle idee (che oggi chiameremmo elaborazioni cognitive), appartenenti proprio alla realtà. Al contrario, per Aristotele le idee possiedono una loro esistenza, assolutamente separata dagli oggetti dell’esperienza sensibile, e per cui egli si chiede se effettivamente queste possano fondare la realtà delle cose.

La questione dibattuta allora, e presente ancora oggi tra i problemi che riguardano lo studio dell’intelletto umano, è di stabilire se l’essenza delle cose dipenda da elementi interni e presenti nelle cose stesse, oppure da elementi esterni alle cose.

Sempre secondo Platone, le idee partecipano alla vita dell’uomo, ossia sono parte integrante del processo elaborativo e costruttivo della realtà stessa, anche se non ne sono parte essenziale. Con questo tipo di ragionamento, egli introduce l’ipotesi che nella realtà esistano le idee, le quali però non aggiungono nulla di essenziale all’idea stessa, che si trova al di fuori della realtà. Nello stesso tempo però si può ipotizzare che questa idea che è fuori in qualche modo influenzi i dati della realtà, ossia influisca sul procedimento cognitivo che ne permette una costruzione mentale. In altri termini, l’idea che è fuori deve trovare il modo di concretizzarsi in una azione che la manifesti, ossia in un processo neurologico e cognitivo che la verifichi.

Bene, sulla base di questi presupposti, trovate che i governanti del mondo abbiamo idee utili, specialmente sul nostro futuro?

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