Interno ed esterno
Quando Protagora, intorno al 451 a.C., ci ricorda che «di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono per quello che sono e di quelle che non sono per quello che non sono», vuole riferirsi alla costante presa di coscienza che ogni individuo opera verso se stesso, di fronte a qualsiasi situazione esistenziale, sia essa esterna oppure interna.
Scegliere la parte invisibile ma ascoltabile di se stessi, quella interna, oppure quella visibile, esterna, di se stessi, implica l’adozione di due diversi stili di vita, che hanno profonde ripercussioni all’interno del complessivo funzionamento della mente.
Nel momento in cui si ritiene che la parte invisibile della propria identità, ossia quella all’interno della quale riconosciamo la presenza di un’ombra, sia la più significativa a cui prestare ascolto, cerchiamo il silenzio intorno a noi e dentro di noi.
E non dico qualche cosa di nuovo, perché tutte le tradizioni filosofiche e religiose che evidenziano il ruolo della meditazione affrontano (con metodo) proprio questa dimensione, quella del silenzio che è direttamente legata a quella dell’ascolto.
Coloro che invece scelgono di dedicarsi solo alla parte esterna della propria identità, che ha comunque un ruolo decisamente utile e importante nella nostra esistenza, non hanno la capacità cognitiva di dedicarsi anche a quella interna, perché la prima assorbe la gran parte delle energie mentali. Dedicarsi a ciò che appare di se stessi significa attribuire una notevole importanza a ciò che le altre persone pensano della propria vita, conferendo a tali pensieri un valore che diventa un plusvalore.
Eppure, è vero, e la psicologia lo dimostra ampiamente, come d’altro canto lo dimostra l’antropologia della mente, che l’idea che ognuno di noi si fa di se stesso dipende da quello che gli altri vedono in noi stessi e soprattutto di noi stessi dicono. Ma si tratta di un rapporto biunivoco, all’interno del quale le due direzioni, dall’interno verso l’esterno e dall’esterno verso l’interno, entrano in contrattazione fra loro, determinando quel dinamismo fra ciò che si è, in quanto apparenza, e ciò che si desidera diventare, in quanto rivelazione.