GlobalizationE tutta questione di… umiltà.

Ecco, direi che con l’articolo di oggi posso anche terminare di scrivere le mie considerazioni, personali e generali, sul periodo che stiamo vivendo, a meno che non si crei la circostanza di una ulteriore necessità.

E forse è il caso di tirare le somme su ciò che, mi auguro, il mondo abbia potuto imparare da questa situazione.

La prima generale considerazione è quella riferita ad una migliore consapevolezza, generale e antropologica, circa la precarietà naturale dell’esistenza umana, nonostante tutte le continue e sbandierate conquiste della scienza, sia medica che tecnologica. La nostra era post-industriale ha sviluppato la convinzione che sia del tutto normale, in occidente, essere esenti da problemi che riguardano gli altri abitanti del mondo, ma non noi. Mi riferisco alle condizioni igieniche nelle quali si trovano le popolazioni, alla qualità della vita quotidiana nel mondo del lavoro, al livello di corruzione e collusione delle diverse istituzioni socio-politiche, al rapporto che stabiliamo con la nostra idea di natura e quindi di progresso, e dunque ai presupposti quotidiani su ciò che consideriamo essere sano e malato del nostro modo di vivere.

Ebbene, per coloro che hanno avuto l’occasione realistica di riflettere in questo momento di convivenza forzata con la propria solitudine, i propri pensieri, e che quindi hanno avuto la possibilità di esercitare il dono della meditazione, qualche cosa dovrebbe essere cambiato rispetto agli elementi che ho evidenziato. Certo, non lo sarà per tutti. Ma l’evoluzione non procede contemporaneamente e per massificazione territoriale, ma procede secondo passi distinti nelle diverse culture del mondo e nei territori.

Quest’ultima considerazione, ci permette di giungere alla ulteriore riflessione: non possiamo più ritenere la globalizzazione come qualcosa al di fuori del nostro controllo, come se possedesse quelle cosiddette leggi cui facciamo riferimento nella locuzione “la volontà del mercato“, a causa della quale crediamo di non essere nelle condizioni di esprimere la nostra volontà. Certo, la nostra volontà possiede dei limiti, come non faccio altro che ripetere ultimamente, anche qui. Ma ciò non significa che non si abbia la possibilità di esprimerla, o cercare di produrre atteggiamenti che siano più consapevoli dei nostri stessi limiti, invece di fare finta di niente e sentirci degli dei.

Non è nemmeno più interessante fare riferimento alla terminologia secondo la quale gli interessi nazionali fanno parte del sovranismo, perché è proprio questo stesso concetto a risultare oltre modo ridicolo. Non esiste il sovrano di nessuno. E non esiste nessuno che possa essere sovrano di se stesso, come ha ampiamente dimostrato zio Covid-19. E coloro che, invece, pretendono di poter tornare alla situazione precedente, secondo la quale lo sviluppo tecnologico può procedere, assieme alla ricerca scientifica, senza nessuna perimetrazione mentale e comportamentale, penso che non abbiano capito nulla.

Per finire, da questo momento dovrebbe essere più evidente quanto il rapporto con gli aspetti invisibili dell’esistenza umana naturale sia forse più importante rispetto all’esercizio della forza, con la quale l’essere umano crede di poter dominare tutto, o di tenere tutto sotto controllo con la scienza medica.

La conoscenza non si improvvisa, ma è il frutto di un metodo investigativo che si basa su una costante e continuata umiltà esistenziale. Una umiltà che ci fa essere prudenti e cauti, rispetto alle veloci e immediate definizioni di quello che stiamo investigando. E se non impariamo a renderci conto di questo, in maniera quasi definitiva, dovremmo prepararci all’avvento di ulteriori novità.

E che potrebbero metterci ancora più in difficoltà.

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