Rabbia
È tutta questione di… disperazione.
Se leggiamo questa notizia, e le parole del Ministro Piantedosi, è relativamente evidente che questo governo ha intenzione di “fare qualche cosa” per risolvere una situazione socio-culturale che caratterizza la nostra nazione da molti anni.
Mi riferisco alle espressioni di inciviltà che i tifosi di alcuni club calcistici presentano al mondo nazionale, e alle mirabolanti gesta che gli operatori sanitari devono attuare per difendere la propria incolumità, nell’esercizio della loro “sottopagata” professione.
Sono due manifestazioni, quella della tifoseria calcistica e del malessere mentale individuale ai pronto soccorso, che possono essere, in realtà, considerate dallo stesso punto di vista: una rabbia incontrollabile.
Ora, noi sappiamo che esiste la “rabbia canina”, come sappiamo che l’essere umano dovrebbe essere nelle condizioni mentali e comportamentali di imparare a gestire questa emozione primaria, che svolge comunque una funzione importante nell’evoluzione della specie.
Infatti, essa è legata ai “sentimenti di giustizia ed equità” che si sviluppano all’interno di una qualsiasi organizzazione sociale umana, ed è mediata, come tutte le cose umane, dal sistema della cultura. Questo sistema prevede la presenza di un insieme di “prescrizioni e comportamenti” che sono funzionali al mantenimento di un certo livello di pace sociale e culturale. Fermo restando che le differenze individuali, legate ad una propria realizzazione esistenziale, debbono essere elaborate e, in un certo senso, anche eliminate.
In altre parole, la rabbia va elaborata nella nostra quotidiana esistenza, con l’intento di gestire il “divenire del futuro individuale”, secondo una prospettiva che agevoli la realizzazione della propria identità.
Ora, nel caso della tifoseria e dei pronto soccorso dovremmo chiederci: “Sono queste persone nelle condizioni di vedere di fronte a loro una soluzione alla rabbia che provano costantemente, rispetto alle differenze sociali e le contraddizioni di questo nostro Paese”?
Ecco, la mia risposta è obiettivamente no, e non solo per mancanza di strumenti cognitivi, ma per una progressiva mancanza di fiducia nella nazione in cui vivono, ossia nella sua politica che esprime, quasi costantemente, un reale menefreghismo rispetto ai problemi delle persone.
In molti italiani mancano educazione, formazione, autorevolezza e fiducia.
Manca la famiglia e la scuola non può essere il luogo del babysitteraggio sociale, perché i genitori sono assenti.
Insomma, manca civiltà.
E purtroppo non solo nella nostra nazione. Si possono dunque applaudire i concetti del Ministro, ma certo non saranno queste soluzione emergenziali a risolvere un andamento culturale che prelude ad uno sfascio etico sempre più realistico.
Educhiamoci tutti ad educare, e ad essere educati dai migliori di noi… quando li incontriamo.