La nostra condizione
È tutta questione di… separazione.
Ogni tanto, invece di commentare una notizia che considero significativa, preferisco fare “il punto della situazione” esistenziale nella quale si ha la sensazione, o la percezione, di trovarci.
Mi sembra che possa essere utile farlo, proprio per non perdere di vista la condizione antropologica nella quale viviamo, tanto come italiani che come “cittadini del mondo”.
La riflessione generale che emerge in me, nella lettura dei quotidiani nazionali ed internazionali, è sostanzialmente una: la classe politica che ogni Stato possiede è esattamente quello che ogni popolo si merita. E molto spesso io stesso ho affermato tale presupposto.
In linea generale penso sia vero, eppure mi chiedo se questo sia del tutto vero, oppure siano presenti eccezioni che non riescono a trovare uno spazio adeguato per meritarci, come persone e cittadini, qualche cosa di diverso rispetto a quello che abbiamo. In altri termini, siamo sicuri di meritarci davvero questo peggio esagerato, questi individui che litigano sul nulla, oppure parlano di festività natalizie in famiglia, come se le persone non avessero problemi ben più importanti cui fare fronte?
Sull’intero elettorato attivo e passivo di una nazione come la nostra, è possibile che al potere vada sempre questa desolazione umana, e in tutta la nazione non vi sia qualche esponente in grado di trasmettere fiducia, rispetto e dignità umane?
Ecco che dunque mi chiedo perché emerga solo la deficienza, mentre nella nostra vita quotidiana, nei nostri incontri giornalieri e professionali, abbiamo certamente la possibilità di conoscere valide e stimabili persone. Come mai le intelligenze nostrane, come quelle internazionali, non riescono a governare gli Stati, anche solo facendo appello a quell’equilibrio generale a cui l’evoluzione umana tende?
Penso che la risposta risieda, anche se parziale, nella mancanza di motivazione endogena (quella basata sulle proprie convinzioni e non sul desiderio di successo pubblico), con la quale tutte le persone agiscono nell’educazione dei propri figli, nella prospettiva di un futuro probabile, perché possibile. Vi è una caduta della speranza, che è appunto l’esercizio quotidiano della volontà. Una caduta che proviene dai media, dalle condizioni di un benessere sempre più legato al concetto di scaltrezza, per non parlare di disonestà.
Quale possibilità dunque abbiamo di reale miglioramento?
Solo un azzeramento, pressoché universale, di questi comportamenti può essere foriero di un reale cambiamento, e dovranno dunque perire i modelli di riferimento culturale ai quali molti individui, con più o meno potere, fanno riferimento.
Quali modelli?
Il successo a tutti i costi, la teoria pragmatica anglosassone del business is business, l’edonismo sfrenato, l’assenza di reale empatia tra gli esseri umani, l’istruzione come dis-valore rispetto alla furbizia, la facile corruzione e la collusione ancora più facile, il concetto di piacere come compenso alternativo alle proprie frustrazioni, e così via.
Dunque, o moriranno questi atteggiamenti mentali, o moriranno i portatori di tali atteggiamenti.
In genere, la Natura non ascolta le nostre pretese.
Fortunatamente.