Pensare alla famiglia
In questo periodo così interessante per la nostra nazione, ho pensato potesse essere utile raccontarvi qui alcune chiacchierate che da mesi sto facendo con una persona che considero essere un punto di riferimento intellettuale stimolante.
In terra di Lunigiana, dove risiedo, vi è, fra le molte persone che la caratterizzano per acume e storie di vita, una signora che si chiama Emanuela Busetto. Madre di famiglia, operatrice reiki, e persona da sempre impegnata sul territorio, per migliorarne l’accoglienza e la godibilità. Insomma, una persona che potremmo definire “politicamente impegnata“, secondo l’accezione più nobile della locuzione, e che poco ha a che vedere e fare con ciò che accade nella nazione e nel mondo.
Racconterò, ogni tanto, in questo blog, il frutto delle nostre chiacchierate, grazie alle quali scaturiscono reciproche riflessioni e considerazioni, perché penso possano essere stimolanti anche per voi, lettori di questo blog.
Emanuela Busetto, parlando di famiglia, sostiene che non è mai “obsoleto impegnarsi nella difesa dei valori tradizionali legati a questo struttura sociale, ed è necessario cercare di recuperare il significato e la funzione dell’essere madri, padri e dunque prole”. Secondo lei, ed anche secondo me, e dal punto di vista antropologico-mentale, esiste una sacralità famigliare, non necessariamente legata ad un’idea religiosa di questo nucleo umano, ma certamente legata alla sua funzione evolutiva, educativa formativa. In effetti, nelle diverse forme organizzate secondo le culture di appartenenza, l’essere umano, in tutte le geografie del mondo e nei diversi tempi storici, ha investito le proprie energie esistenziali in questa struttura sociale, senza della quale non avremmo la formazione di affetti e significati importanti di vita quotidiana.
Certo, dagli anni Settanta in poi, in nome dell’avvento di quel pensiero rivoluzionario che viene definito controcultura, e che portò un vento di progressismo anche utile in alcuni settori del vivere sociale occidentale, la famiglia ha cominciato ad assumere significati differenziati e spesso antitetici fra loro. Da quel momento in poi, molti comportamenti famigliari negativi (l’autoritarismo maschile, la repressione di libertà personali, l’accettazione di comportamenti sessuali e sociali libertari, etc.) sono diventati l’occasione di riflessione, rivoluzione e cambiamenti.
Ora, nella nostra attuale contemporaneità occidentale, si assiste al progressivo sfaldamento dei motivi per cui valga la pena investire in una relazione famigliare duratura, con tutte le fatiche del caso, e da parte di tutti i membri della famiglia. E, in questa realtà, sotto gli occhi di tutti e dei media, non stiamo però riflettendo, come esseri umani e come italiani, su cosa potremmo fare per recuperare il meglio della tradizione famigliare di matrice cattolico-cristiana, ed abbandonare il peggio, che comunque è esistito e continua ad esistere.
Dal nostro punto di vista, mio e di Emanuela Busetto, anche le tematiche tanto care alla sinistra progressista (ma sono in realtà care a qualsiasi essere umano, che viva in una società definibile civilizzata, e secondo principi che risalgono anche all’illuminismo francese), per esempio quelle LGBTQ+, dovrebbero essere affrontate in relazione al concetto di famiglia. E questo perché, in tutte le sue forme, inclusive o poco inclusive, il nucleo centrale in ogni società umana è proprio nella famiglia, e i rapporti affettivi, con le loro diverse espressioni sessuali, dovrebbero essere comunque affrontati e discussi in ottica famigliare.
Ecco perché il “diritto ad una vita dignitosa, rispettosa della propria identità e realizzazione personale, che dovrebbe essere garantito ad ogni figlio/figlia è una questione di portata politica, non certo partitica, universale”, mi ricorda Emanuela Busetto.
Speriamo che, con queste nuove elezioni, si abbia lo sviluppo, anche parlamentare, di queste nostre riflessioni generali, che trascendono l’appartenenza ad un preciso schieramento politico.
Riteniamo che queste considerazioni siano semplicemente antropologicamente rilevanti, e proprio per sviluppare in tutti noi il profondo rispetto per ogni diversità.
Essere diversi è un valore aggiunto se capiamo che significa essere equivalenti, altrimenti è solo demagogia.