È tutta questione di… realismo.

Anche se non tutti hanno compreso il vero motivo che mi ha portato, dall’inizio della pandemia, a definire il virus zio COVID-19, continuo a credere che il mondo, in seguito a questa epidemia ormai pandemica che ancora imperversa, necessariamente cambierà.

Certo, non sono un veggente e non possiedo ovviamente una palla di vetro in cui vedere il futuro, ma sono nelle condizioni, come molti altri italiani, di rendermi conto che un cosiddetto “cambio di passo“ è necessario. E non si tratta di un cambiamento esclusivamente politico, ma come ho già avuto occasione di dire in questo blog, penso ad un cambiamento antropologico-esistenziale. E per questo tipo di mutazione è necessario che trascorra molto tempo, sebbene le accensioni, o le cosiddette “spinte culturali“, si stiano manifestando in questo periodo storico mondiale.

Quando saremo nelle condizioni di accorgerci realmente che le cose dovranno e/o stanno per cambiare?

Al termine della pandemia, quando i concetti di emergenza, sanificazione e lockdown lasceranno spazio ad una progettazione del futuro che coinvolga il mondo intero, senza che continui a imperversare questa sorta di individualismo megalomane, applicato tanto alle persone quanto agli Stati.

E si tratta, nella maggioranza dei casi, di una megalomania ignorante, espressione di individui che hanno pochissimi strumenti cognitivi per interpretare il mondo nella sua interezza, mentre preferiscono continuare a riferirsi al proprio orticello, che è oramai in desertificazione.

Quando tutto sarà finito, potremo renderci conto delle macerie lasciate. Mi auguro solo che la ricostruzione avvenga secondo parametri diversi, rispetto a questo sentimento di solitudine desolante che sta sostanzialmente caratterizzando i popoli del mondo, unitamente alla mancanza di una reale motivazione a progettare il futuro.

Sono queste, in sintesi, le domande esistenziali che si stanno ponendo più o meno consapevolmente le nostre giovani leve: Per cosa vale la pena lottare? Siamo così certi che tutte le nostre intenzioni, la costruzione di un nostro avvenire professionale, possa davvero offrire l’occasione di realizzarsi in questo tipo di mondo? Poiché sono aumentati i rischi e i pericoli di vivere in uno stato costante di incertezza, possiamo essere sicuri ancora di qualcosa, ossia possiamo sperare in qualche certezza?

Dovranno rispondere le diverse economie del mondo, gli uomini che fanno parte dell’alta finanza internazionale, i sistemi politici, e in una parola dovrà rispondere il sistema della cultura. E cultura sappiamo benissimo che non significa solo alfabetizzazione, oppure livello di scolarizzazione, ma per cultura qui si intende la capacità di rispondere alle sfide dinamiche che la realtà pone a tutti gli esseri umani, all’interno di qualsiasi ruolo e status sociale, tanto maschi quanto femmine.

E le risposte sono migliori quando si comprendono le domande. E per comprendere queste ultime è necessario conoscere la grammatica e la sintassi attraverso cui il mondo e la Natura parlano agli esseri viventi, tutti quanti, non solo alla specie che sembra essere all’apice dello sviluppo evolutivo.

Cosa possiamo quindi fare, in concreto?

Bisogna rendere la partecipazione alle sfide del mondo a portata di tutti, investendo con continuità e costanza in ogni forma di educazione, studio, confronto, apprendistato, insegnamento e produzione professionale. E’ necessaria una strategia, all’interno della quale vi siano passi necessariamente condivisi e identificabili da tutta la classe politica, senza fare riferimento a concezioni ideologiche vetero-catastrofiche.

Come ho già scritto in questo blog, ci vorrebbero donne e uomini coraggiosi.

Ci vorrebbe quella genitorialità educativa che manca a quasi tutti i livelli della società civile.

Ce la faremo?

Penso di sì, con fatica e nel tempo. A breve, invece, le cose sembreranno andare sempre peggio.

Per questo dovremmo cercare di resistere a noi stessi.

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