È tutta questione di… ingredienti per il benessere.

Il tempo è il nostro cambiamento, oppure la nostra ripetizione, e noi non lo utilizziamo, perché il tempo siamo noi stessi (ovviamente, mi sto riferendo alla percezione cognitiva terrestre ed umana).

Cerchiamo di chiarire questa affermazione.

Quando tutte le mattine ci svegliamo, dopo aver iniziato a “carburare” consumando la colazione, cominciamo a pensare a quello che dobbiamo fare durante il giorno. La mente immagina come ci si deve vestire, per esempio. Quando siamo pronti per uscire chiudiamo la porta di casa alle nostre spalle e andiamo al lavoro.

Con queste ed altre successioni di azioni, poiché sono in grado di stabilire cosa ho fatto prima e quello che farò poi, creo appunto il prima e il poi, cioè il tempo. Con l’invenzione della meridiana, e successivamente dell’orologio, prima i nostri antenati e poi noi, abbiamo anche imparato a stabilire un modo per misurare la distanza che intercorre, durante le azioni, da uno stato in cui ero prima ed uno in cui sono dopo.

Ecco misurato il tempo. Il tempo siamo noi, perché il tempo sono le nostre azioni e quando, infatti, siamo costretti all’immobilità, il tempo sembra non passare mai.

Il processo appena descritto, grazie al quale si crea il tempo, che è dunque essenzialmente la misura di una distanza, determina il nostro modo di sentirci cambiati, oppure sentirci identici a quello che eravamo prima, un tempo. Se durante la mia esistenza posso cambiare (un cambiamento che è, in realtà, una rivelazione) qualche cosa di me e qualche cosa che sta attorno a me, vuole dire che esistere è come attendersi il cambiamento/rivelazione. Anzi, esistere è sostanzialmente poter cambiare/rivelare.

In questa equivalenza cognitiva, ossia l’esistere che è uguale al cambiare/rivelare, prendono corpo le azioni umane verso il futuro, pur mantenendo fisso qualcosa di noi.

Ma cosa di noi manteniamo fisso, durante il cambiamento dell’esistere?

La speranza di rimanere sempre quello che crediamo di essere assieme alla possibilità di cambiare/rivelarci in meglio. Sembra un paradosso, eppure è proprio così per tutti noi. Tanto il cambiare/rivelare, quanto il rimanere identici a noi stessi, sono espressioni mentali di una stessa medaglia, con le sue due facce.

Quando avrò sessant’anni mi sentirò chiamare con lo stesso nome di oggi. Anche se nella mia vita vi sono stati molti cambiamenti, alcune cose, come la percezione di sentirmi in qualche modo sempre uguale a me stesso, sono rimaste come erano. A sessant’anni mi sentirò lo stesso io di oggi. Spererò, come oggi spero, di poter cambiare la mia vita in quegli aspetti che la possono davvero migliorare.

E questo accade a tutte le età, sino alla morte.

Senza speranza non esisto, né la mente può funzionare programmando il futuro.

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