Pallini, prof. e comici
Partiamo da questo articolo, sulla base del quale potrete leggere alcune mie considerazioni.
Innanzitutto, si tratta di una notizia che è stata subito ripresa da una comica che rappresenta la dimensione più tragica della nostra esistenza italiana: quasi sempre fuori luogo, personalmente boriosa dunque superba, e generalmente volgare quando non turpe. E, d’altra parte, non possiamo certo pretendere qualcosa di meglio quando il partner è quel tal Fabio Fazio. Potete chiaramente evincere, da queste prime considerazioni, che i due non attirano la mia attenzione e che ringrazio Dio di aver Netflix e Prime Video!
Scritto questo, ad onor del vero, la battutaccia della signora torinese (preferisco non nominarla nemmeno) ha un fondo di verità, nel senso che quello che accade in una classe, di qualsiasi ordine e grado (anche nel caso dell’Università) dipende notevolmente dalla capacità pedagogica del docente.
E non dico qualcosa di nuovo, perché questo accade anche in una “normale” famiglia (ammesso che oggi, in effetti, si possano ancora incontrare famiglie “banalmente normali“, ossia dotate di buon senso educativo e presenza quotidiana nella vita dei figli).
È altrettanto vero che, oggigiorno, la presenza di genitori che seguano i figli, sapendolo fare secondo i tempi che mutano velocemente, è sempre più rara, perché le esigenze dei nostri giovani contemporanei richiedono un’attenzione più raffinata e specifica da parte degli adulti. E questi ultimi lavorano, sono stressati per conto loro, hanno ritmi temporali diversi nella presenza domestica, quando i figli restano in casa.
Insomma, la questione educativa è sempre più impellente, urgente e fondamentale, e, allo stato attuale delle mie conoscenze ed esperienze, non mi sembra sia stata ancora seriamente affrontata da alcuno, tanto meno dai governi italiani che via via si succedono.
Dunque, il docente si ritrova spesso ad essere una sorta di “badante educativo“, come se il lavoro della famiglia potesse essere delegato ad altre agenzie di socializzazione. Bene, io penso che questo sia oltremodo negativo ed inutile, perché ogni situazione educativa deve prevedere l’assunzione di ruoli, che sono i comportamenti di “status”, e il docente non deve, né può, sostituirsi al genitore, anche quando quest’ultimo chiede apertamente che ciò avvenga.
È necessario, sempre secondo me, ripristinare una “sana pedagogia del no“, una volta esercitata in seno alla famiglia dalla figura paterna, e quando necessario dalla parte maschile che ogni madre possiede.
E, infine, bisogna avere una pazienza sempre più infinita, senza mai scoraggiarsi di essere come “martelli pneumatici” rispetto all’adesione alle regole, ai comportamenti socialmente confacenti la vita comunitaria, come accade in una classe, oppure in un Dipartimento universitario.
Essere docenti, ossia “in segnare“, significa lasciare quel “segno” all’interno di un rapporto generazionale sempre più complesso, ma certamente fonte di enormi gratificazioni esistenziali e personali.