Senza esempi
È tutta questione di… semplicità universale.
Jean Piaget ci dice che il processo cognitivo umano, ossia quel meccanismo che la mente attua per apprendere i dati dal mondo, avviene per assimilazione, accomodamento e successivo ripristino di equilibrio. In questo modo, si attribuisce un ordine, anche temporale, al nostro stare al mondo coscientemente.
L’umanità tutta segue questo processo, perché l’umanità è come un sistema lontano dall’equilibrio, che ha la caratteristica sorprendente della messa in atto dell’auto-organizzazione per raggiungere detto equilibrio.
Con la Teoria della complessità, al contrario di quanto accade con la visione classica, si impara una grande lezione, e cioè che i sistemi viventi sono creativi solo quando si trovano lontano da uno stato di equilibrio asintotico, quando sono cioè al margine del caos.
Nel linguaggio scientifico, si utilizza il termine asintotico quando si vuole indicare la tendenza ad avvicinarsi sempre più a qualche cosa, senza mai raggiungerla, oppure senza arrivare a coincidere con essa. Ad esempio, le leggi asintotiche non valgono rigorosamente, ma possono essere verificate con tanta maggiore approssimazione quanto più ci si avvicina a precise condizioni limite, che non sono mai praticamente soddisfatte.
Nella fisica meccanica le leggi asintotiche sono quelle che si basano sull’ipotesi di assenza di attriti, condizione che non può mai essere soddisfatta in assoluto. Oppure, in statistica ci si riferisce a quelle leggi verificabili con tanta maggiore approssimazione quanto più grande è il numero degli individui a cui esse si applicano. Un ulteriore esempio può essere quello dell’amore, inteso come espressione di una tendenza al completamento attraverso qualcosa di diverso da me (la persona, la cosa, oppure la situazione che amo), che viene sempre ricercato e mai del tutto realizzato.
L’equilibrio di questo tipo, asintotico, è parte della vita quotidiana di ogni essere umano e si realizza proprio secondo le tre fasi che lo scienziato svizzero ha evidenziato.
Ci aiuteremo alla comprensione di quanto enunciato con degli esempi.
La vita quotidiana umana è, come abbiamo visto, l’espressione di un’azione combinata tra azioni e pensieri, contemporaneamente vincolati alla mente e al corpo. Infatti, dal punto di vista della conoscenza non esiste una differenza fra l’azione della mente e quella del corpo, poiché entrambe sono molto legate fra loro e senza una linea di demarcazione netta.
Prendiamo il caso di un adolescente che si innamora, per la prima volta, della sua compagna di banco. Tutti i giorni la incontra a scuola, la guarda con ammirazione, ne scruta lo sguardo per coglierne qualche eventuale segno di approvazione. In poche parole, la sua mente comincia a prendere confidenza con la ragazza per la quale egli prova una forte attrazione. Ne assimila la figura, le posture, i gesti, le parole e gli sguardi. Il nostro innamorato, lentamente, si abitua alla presenza dell’amata e la inserisce come parte integrante della propria vita, dei propri affetti. Ne ha assimilato la figura, attribuendo alla sua relazione affettiva con lei un significato importante, chiaro effetto dell’infatuazione che lo sta coinvolgendo.
E questa è la prima fase della conoscenza, che possiamo applicare a tutte le cose, grazie alla quale la mente inserisce la novità che incontra nel proprio bagaglio affettivo.
Lo definisco bagaglio affettivo perché l’infatuazione del nostro adolescente è comunque il frutto, a sua volta, di un atteggiamento generale e positivo che egli possiede verso le figure femminili, altrimenti l’interesse per la compagna di banco non si esprimerebbe sotto forma di attrazione. Se, ad esempio, in famiglia egli non avesse avuto esempi di innamoramento (ripetuti nel tempo), come può essere e dovrebbe essere, riferendosi ai propri genitori, la sua mente percepirebbe l’infatuazione attuale come qualcosa di troppo nuovo per non essere anche pericoloso.
Ecco perché senza esempi non si può vivere, nel bene come nel male.