“Volere” in Italia? Impossibile
È tutta questione di… avidità.
All’interno del comportamento di una persona, la normale tendenza ad agire dovrebbe derivare dalle motivazioni personali. Queste ultime sono stimolate da una serie di incentivi situazionali, ossia contingenti e legati alle vicende di vita individuali.
In quest’ottica, gli obiettivi individuali che ogni persona persegue, all’interno di un preciso periodo storico, dovrebbero derivare da motivi e bisogni persistenti.
Sorge quindi spontanea una domanda: se le nostre azioni sono il frutto di questi motivi e bisogni, a cosa serve attivare un processo di volontà?
In realtà, per compiere azioni che sono il frutto di una relativamente libera scelta non è possibile affidarsi esclusivamente alle motivazioni e bisogni personali, perché sono molti gli obiettivi che richiedono il raggiungimento di mete intermedie repellenti o del tutto spiacevoli.
Se un individuo vuole acquistare potere all’interno della società nella quale vive, è assai probabile che debba rapportarsi con alcune persone spiacevoli, oppure sleali e disoneste. In qualche modo, quindi, questo individuo deve essere nelle condizioni di superare quegli ostacoli relazionali che potrebbero allontanarlo dal raggiungimento del suo obiettivo ultimo.
Ecco che il processo volitivo assume un ruolo decisamente importante, che supera il processo motivazionale iniziale. In altre parole, è necessario volere arrivare dove ci siamo prefissati di giungere, “facendo, spesse volte, buon viso alla cattiva sorte contingente”.
In sostanza, nella realtà quotidiana ci vengono molto spesso offerti incentivi che dobbiamo “acquistare in blocco”, perché all’interno del blocco troviamo compiti che appartengono a tematiche diverse.
Un agire quotidiano coronato da successo non può prescindere quindi dai processi di volontà, anche quando si riesce a mantenere l’assunzione di base secondo la quale il nostro comportamento è in linea di principio guidato da motivazioni personali.
Nell’attuale società italiana, è legittimo chiedersi se i nostri giovani ritengano opportuno attivare processi di volontà per raggiungere obiettivi che sanno essere tipicamente clientelari e familistici.
Mi sembra quindi relativamente legittimo, da parte loro, abbandonare qualsiasi processo volitivo per dedicarsi a stabilire relazioni inconcludenti, sia dal punto di vista intellettuale che della soddisfazione personale, ma che permettono di raggiungere gli obiettivi al di là delle proprie competenze e motivazioni.
Ragioniamo e riflettiamo su come i nostri giovani valutano il mondo che noi abbiamo contribuito a costruire e forse capiremo perché è decisamente conveniente per loro, sia dal punto di vista mentale che antropologico, emigrare.